lunedì 10 febbraio 2014

Boris Pahor.......Quale memoria? Il confine e il fascismo




Mi sono spesso chiesto da dove venisse la mia avversione per l’ossessione delle foibe che ha colpito
l’Italia negli ultimi anni. Non che voglia sminuire questo dramma, anzi credo di essere stato uno dei primi a denunciare le violenze dei partigiani jugoslavi quando ho pubblicato un intervista con il poeta sloveno Edvard Kocbek nel lontano 1975 sulle uccisioni dei collaborazionisti sloveni alla fine della Seconda guerra mondiale. Infatti, al contrario di quello che si crede comunemente in Italia, nelle foibe non finirono soltanto gli italiani, ma i “nemici del popolo” jugoslavo, indipendentemente dalla loro appartenenza nazionale. Ma l’Italia tende a travisare o a selezionare la propria memoria storica, lasciando che la passione nazionale o la volontà politica prevalgano sulla realtà dei fatti. Proprio il caso delle foibe dimostra che si dovrebbe ricostruire e rendere noto il fenomeno nella sua complessità, in modo che diventi il simbolo di tutte le violenze che attraversarono questa terra di confine dal ventennio fascista all’ultima fase della Seconda guerra mondiale.
Spesso si dimentica che nella Venezia Giulia, in Istria e in Dalmazia non esiste soltanto la memoria italiana, ma anche quella slovena e croata. Nel 2004 l’Italia ha approvato la celebrazione del giorno del Ricordo, il 10 febbraio, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Mi aspettavo che la legge sul giorno del Ricordo si impegnasse a far conoscere obiettivamente i conflitti che hanno lacerati queste terre, invece mira alla costruzione di una memoria unica e parziale, che non esito a definire prettamente nazionalista, perché denuncia i soprusi subiti dagli italiani e tace quelli che loro hanno perpetrato.
Eppure il fascismo nella Venezia Giulia di allora attecchì rapidamente fin dal 1920 e in questa regione plurietnica la repressione nazionalista colpì duramente le minoranze, con processi contro gli antifascisti “slavi” da parte del Tribunale speciale, la proibizione delle associazioni culturali e politiche, la chiusura delle scuole slovene e croate e l’italianizzazione forzata, a partire dalla lingua e dai nomi. Molti, nel resto d’Italia, neppure sapevano dell’esistenza di comunità slave sul territorio nazionale. Anzi, sotto il fascismo noi non eravamo considerati una comunità, ma una massa ignorante. La politica negli anni Venti e Trenta non fu che un preludio alla violenza che si sarebbe scatenata dopo l’invasione della Jugoslavia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile del 1941. Fu nella cosiddetta “Provincia di Lubiana” che l’occupazione delle forze armate italiane portò alla catastrofe: villaggi bruciati, esecuzioni sommarie di ostaggi, soprusi contro la popolazione civile, campi di concentramento. Interi villaggi furono deportati nel campo di concentramento di Rab (Arbe): dai neonati alle persone anziane, tutti vivevano sotto delle tende e dormivano sulla paglia bagnata dalla pioggia. Mancavano acqua e cibo. I bambini morivano di fame e di freddo e le madri erano così disperate da arrivare a nascondere i cadaveri dei propri bambini nella paglia pur di non perdere la razione del figlio.
Di tutto ciò non si fa cenno nella legge del 10 febbraio. Si vuole ricordare solo quanto è accaduto in Istria centrale dal 1943 in poi e la questione delle foibe. Rappresentare la storia a senso unico non è accettabile. E’ chiaro che questa legge rientra in una prospettiva di riconciliazione nazionale, ma è altrettanto chiaro che non la si dovrebbe raggiungere a nostre spese. Non ammetto neppure che essa sia al contempo un atto di accusa contro un intera comunità “slava”, che in realtà è composta, come già accennato, da una parte di croati e dall’altra di sloveni. In nome di questa volontà di pacificazione interna, l’Italia tende a occultare o tralasciare una parte della storia: insiste sulle violenze e sui soprusi subiti, e anzi li amplifica a dismisura, ignorando i risultati delle ricerche storiche più recenti. Lo dimostra chiaramente il discorso del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del giorno del Ricordo del 2007: già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”. Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle barbarie del secolo scorso.
Per ciò che riguarda noi, vorrei specificare che il cosiddetto “disegno annessionistico”, di cui il presidente Napolitano ci ha accusato, riguarda la riconquista nella lotta insieme agli Alleati del territorio del litorale sloveno che l’Italia aveva ottenuto Dopo gli accordi di Londra nel 1915 e definitivamente alla fine della Prima guerra mondiale. Per fortuna questi toni forti, e per certi versi offensivi, si sono attenuati e quest’anno, nel febbraio 2009, il presidente della Repubblica, dopo un discorso del presidente della Slovenia Danilo Turk, ha preso in parte in considerazione la memoria slovena, dicendo che l’Italia ricordava anche ciò che il fascismo aveva fatto alla popolazione slovena. Tuttavia non basta ricordare, occorre anche spiegare, soprattutto alle giovani generazioni che di questi fatti sanno poco o niente. Un buon punto di partenza per una memoria che tenga conto di tutte le vicende del confine orientale – come reciterebbe a rigore la legge – potrebbe essere la relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, frutto di una collaborazione tra storici di entrambe le nazionalità che per diversi anni hanno lavorato congiuntamente sugli aspetti più controversi della storia di questa regione di confine tra il 1880 e il 1956. Bisognerebbe pubblicare la relazione e presentarla nei libri scolastici di storia, come hanno fatto la Francia e la Germania per le loro vicende, in modo da creare un punto di incontro per i giovani che spesso conoscono soltanto una parte della storia, quella nazionale. Credo che su questi avvenimenti dolorosi ci sia la necessità di fare chiarezza per chiudere i conti con il passato, altrimenti il rischio è di ricordare solo la “barbarie slava”, dimenticando quella italiana. Eppure, i criminali di guerra italiani non sono mai stati né processati né giudicati per gli eccidi e le devastazioni inflitte alle popolazioni delle zone di confine. Ha ragione Paolo Rumiz quando dice che l’Italia è l’unica nazione europea che ha ben due giorni dedicati alla Memoria, ma è anche l’unica a servirsene non per chiedere scusa ma per esigere scuse. In questo avrebbe molto da imparare dalla Germania, che si è impegnata a tener vivo il ricordo delle vittime e ha riconosciuto le propie colpe, non solo con commemorazioni pubbliche, ma anche con la ricerca storica. Al contrario,in Italia stenta tuttora a farsi strada un vero dibattito sulle responsabilità nazionali nella Seconda guerra mondiale e si sottovalutano il ruolo del fascismo e i suoi crimini. L’”Espresso”, già il 27 marzo 2003, scriveva: “Da noi un lato l’Italia, che in un primo momento aveva visto con favore la seconda Norimberga, non aveva però nessuna intenzione di consegnare i nostri generali a partire da Roatta, a loro volta sotto accusa per crimini commessi come alleati dell’Asse”. Io mi permetterei di dire che si tratta pure di una questione di onore. Significativamente tra i libri italiani che trattano i crimini commessi dai fascisti durante la guerra, uno si intitola appunto Italiani senza onore di Costantino Di Sante. Perché non si portano i ragazzi nei campi di concentramento italiani, come quelli di Rab, Gonars, Visco, Chiesanuova, Monigo, Grumello e altri ancora? E’ giusto che i giovani vadano a visitare le foibe, ma prima devono avere la possibilità di conoscere e studiare tutta la complessa situazione storica. Andare solo alla Risiera di San Sabba, che fu voluta dai nazisti, non basta e perpetua quell’immaginario descritto da Paolo Rumiz: “Innocenti noi, barbari loro. Deponiamo corone d’alloro e torniamo a casa contenti di essere stati, ancora una volta, italiani brava gente”.

 Boris Pahor



Non si può mai ignorare il dolore degli altri.

Bruno Crainz