Tutti sanno che gli "sfruttatori" quando ( attraverso gli "sfruttati" ) producono merce producono in realtà umanità ( rapporti sociali ).
Gli "sfruttatori" della seconda rivoluzione industriale ( chiamata altrimenti consumismo: cioé grande quantità, beni superflui, funzione edonistica ) producono nuova merce: sicchè producono nuova umanità ( nuovi rapporti sociali ).....
Ma se la seconda rivoluzione industriale - attraverso le nuove immense possibilità che si è data - producesse da ora in poi dei "rapporti sociali" immodificabili?...
Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee.
I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili ai bisogni primari.
I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali.
Ecco perchè attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d'uomo: ma l'umanità stessa.
Va aggiunto che il consumismo può creare dei "rapporti sociali immodificabili", sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clerico-fascismo un nuovo tecno-fascismo sia, come ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili.
In ambedue i casi lo spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto all'utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti marxisti ad una funzione social-democratica, sia pure, dal punto di vista storico, completamente nuova.
Pier Paolo Pasolini da "Lettere luterane"
Una volta una signora mi ha detto: "Ma questo Dadaismo, questo Surrealismo non avrà un cattivo effetto sui giovani?" Le ho risposto: "Signora, ho fatto molti quadri in vita mia e sto ancora cercando di fare un quadro alla cui vista certe persone cadono morte, ma non ci sono ancora riuscito." - Man Ray -
venerdì 26 dicembre 2014
martedì 16 dicembre 2014
Attilio Lolini..........martedi'
Incisivo
I vecchi vanno
in su e in giu'
con la patente
per ammazzar
la gente
per monti e valli
un nonno prudente
s'appoggia
ad un bastone d'osso
lungo e tagliente
ma e' solo
un lungo dente
che gli esce di bocca
abbatte chi trova vivo
con l'incisivo.
I vecchi vanno
in su e in giu'
con la patente
per ammazzar
la gente
per monti e valli
un nonno prudente
s'appoggia
ad un bastone d'osso
lungo e tagliente
ma e' solo
un lungo dente
che gli esce di bocca
abbatte chi trova vivo
con l'incisivo.
Attilio Lolini..........martedi'
Yogurt
Dicono che sono depresso
mi metto sotto un cipresso
poi faccio colazione
con uno yogurt
alla depressione
alla radio parlano
di guerra in Palestina
succhio una gelatina
poi un sorbetto
incerto se stare in piedi
o rimettermi a letto.
Dicono che sono depresso
mi metto sotto un cipresso
poi faccio colazione
con uno yogurt
alla depressione
alla radio parlano
di guerra in Palestina
succhio una gelatina
poi un sorbetto
incerto se stare in piedi
o rimettermi a letto.
mercoledì 10 dicembre 2014
Vittorio Sereni....
Saba
Berretto pipa bastone, gli spenti
oggetti di un ricordo.
Ma io li vidi animati indosso a uno
ramingo in un'Italia di macerie e polvere.
Sempre di sé parlava ma come lui nessuno
ho conosciuto che di sé parlando
e ad altri vita chiedendo nel parlare
altrettanta e tanta più ne desse a chi stava ad ascoltarlo.
E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile,
lo vidi errare da una piazza all'altra
dall'uno all'altro caffè di Milano
inseguito dalla radio.
"Porca - vociferando - porca". Lo guardava
stupefatta la gente.
Lo diceva all'Italia. Di schianto, come a una donna
che ignara o no a morte ci ha ferito.
da " Gli strumenti umani ".
Berretto pipa bastone, gli spenti
oggetti di un ricordo.
Ma io li vidi animati indosso a uno
ramingo in un'Italia di macerie e polvere.
Sempre di sé parlava ma come lui nessuno
ho conosciuto che di sé parlando
e ad altri vita chiedendo nel parlare
altrettanta e tanta più ne desse a chi stava ad ascoltarlo.
E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile,
lo vidi errare da una piazza all'altra
dall'uno all'altro caffè di Milano
inseguito dalla radio.
"Porca - vociferando - porca". Lo guardava
stupefatta la gente.
Lo diceva all'Italia. Di schianto, come a una donna
che ignara o no a morte ci ha ferito.
da " Gli strumenti umani ".
mercoledì 26 novembre 2014
Ferruccio Brugnaro.....
Bravi
Bravo presidente
bravi ministri
bravi segretari
partiti
sindacati
bravi bravi
tutti quanti.
Mano nella mano
cantate
gli operai sono
tramortiti di botte
gli operai lavorano
e tacciono
abbiamo trovato
gli alleati giusti.
Evviva evviva
siamo gli unici
in libertà
intelligenti
intelligenti.
Bravo governo
bravi ministri
bravi bravi
tutti quanti
evviva evviva
i ladri sono stati
premiati
gli operai hanno avuto
una lezione
severa
evviva evviva
cantate
bravo
il nostro presidente
del consiglio
bravi
i nostri ministri
i nostri tecnici
bravi bravi
cantate
più forte
più forte
cantate
evviva
evviva.
Bravo presidente
bravi ministri
bravi segretari
partiti
sindacati
bravi bravi
tutti quanti.
Mano nella mano
cantate
gli operai sono
tramortiti di botte
gli operai lavorano
e tacciono
abbiamo trovato
gli alleati giusti.
Evviva evviva
siamo gli unici
in libertà
intelligenti
intelligenti.
Bravo governo
bravi ministri
bravi bravi
tutti quanti
evviva evviva
i ladri sono stati
premiati
gli operai hanno avuto
una lezione
severa
evviva evviva
cantate
bravo
il nostro presidente
del consiglio
bravi
i nostri ministri
i nostri tecnici
bravi bravi
cantate
più forte
più forte
cantate
evviva
evviva.
lunedì 17 novembre 2014
Antonio Delfini.........1959/1960
Sega gli alberi
Sega gli alberi signor podestà
signor sindaco signor baccalà.
Firma gli atti signor prefetto
governatore questore triletto.
Da il voto di sì signor deputato
scuote la testa il buon governato.
L'eterno inferno è il governo
in Italia per sempre è l'inverno.
C'è una frana in Sicilia
il ministro aggrotta la ciglia
e dichiara: "Si faccia la bara
pel poveretto che impara".
In Lucania c'è l'alluvione
di morte si vuole un veglione.
E' una festa antica che ha più di mill'anni:
in Italia a Rovigo a Catania a Livorno a Trento a Trieste
decimati per via militare per terremoto fame e pellagra
per crolli per strozzo di banca c'è sempre stata la peste.
Il povero deve morire per frusta veleno o fucile.
"Il nipote sia degno degli avi" ha detto un padrone a Milano.
"Il capitale sia nostro e privato, non si muti lo stile,
si ammoderni la frusta, si appesantisca la mano".
Sega gli alberi signor podestà
signor sindaco signor baccalà.
Firma gli atti signor prefetto
governatore questore triletto.
Da il voto di sì signor deputato
scuote la testa il buon governato.
L'eterno inferno è il governo
in Italia per sempre è l'inverno.
C'è una frana in Sicilia
il ministro aggrotta la ciglia
e dichiara: "Si faccia la bara
pel poveretto che impara".
In Lucania c'è l'alluvione
di morte si vuole un veglione.
E' una festa antica che ha più di mill'anni:
in Italia a Rovigo a Catania a Livorno a Trento a Trieste
decimati per via militare per terremoto fame e pellagra
per crolli per strozzo di banca c'è sempre stata la peste.
Il povero deve morire per frusta veleno o fucile.
"Il nipote sia degno degli avi" ha detto un padrone a Milano.
"Il capitale sia nostro e privato, non si muti lo stile,
si ammoderni la frusta, si appesantisca la mano".
domenica 16 novembre 2014
mercoledì 12 novembre 2014
Andrea Zanzotto....mercoledi'
Il nome di Maria Fresu
E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all'ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone
in ogni
rutto - scoppiato e
disseminato -
in milioni di
dimenticanze, di comi, bburp.
E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all'ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone
in ogni
rutto - scoppiato e
disseminato -
in milioni di
dimenticanze, di comi, bburp.
martedì 11 novembre 2014
martedì 4 novembre 2014
Andrea Zanzotto........martedi'
Rivolgersi agli ossari.
Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto.
Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto.
Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano.
Rivolgersi alle case. Dove l’infinitudine del desìo
(vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto.
E la radura ha accettato più d’un frondoso colloquio
ormai, dove, ahi,
si esibì la più varia mostra dei sangui
il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio speciale. Urrah.
Vorrei bucarmi di ogni chimica rovina
per accogliere tutti, in anteprima,
nello specchio medicato d’infinitudini e desii
di quel circo i fermenti gli enzimi
dentro i succhi più sublimi dell’alba, dell’azione, in piena diana. E si va.
E si va per ossari. Essi attendono
gremiti di mortalità lievi ormai, quai gemme di primavera,
gremiti di bravura e di paura. A ruota libera, e si va.
Buoni, ossari – tante morti fuori del qualitativo divario
onde si sale a sicurezze di cippo,
fuori del gran bidone (e la patria bidonista,
che promette casetta e campicello
e non li diede mai, qui santità mendica, acquista).
Hanno come un fervore di fabbrica gli ossari.
Vi si ricevono ordini, ordinazioni eterne. Vi si smista.
All’asilo, certi pazzi-di-guerra, ancora vivi
allevano maiali; traffici con gli ossari.
Mi avete investito, lordato tutto, eternizzato tutto, un fiotto di sangue.
Arteria aperta il Piave, né calmo né placido
ma soltanto gaiamente sollecito oltre i beni i mali e simili
e tutto solletichìo di argenti, nei suoi intenti, a dismisura.
Padre e madre, in quel nume forse uniti
tra quell’incoercibile sanguinare
ed il verde e l’argenteizzare altrettanto incoercibili,
in quel grandore dove tutti i silenzi sono possibili
voi mi combinaste, sotto quelle caterve di
os-ossa, ben catalogate, nemmeno geroglifici, ostie
rivomitate ma come in un più alto, in un aldilà d’erbe e d’enzimi
erbosi assunte,
in un fuori-luogo che su me s’inclina e domina
un poco creandomi, facendomi assurgere a
Così che suono a parlamento
per le balbuzie e le più ardue rime,
quelle si addestrano e rincorrono a vicenda,
io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi
mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico
Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera
io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra,
si avvicenda un fiore a un cielo
dentro le primavere delle ossa in sfacelo,
si avvicenda un sì a un no, ma di poco
differenziati, nel fioco
negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco.
Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto.
Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano.
Rivolgersi alle case. Dove l’infinitudine del desìo
(vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto.
E la radura ha accettato più d’un frondoso colloquio
ormai, dove, ahi,
si esibì la più varia mostra dei sangui
il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio speciale. Urrah.
Vorrei bucarmi di ogni chimica rovina
per accogliere tutti, in anteprima,
nello specchio medicato d’infinitudini e desii
di quel circo i fermenti gli enzimi
dentro i succhi più sublimi dell’alba, dell’azione, in piena diana. E si va.
E si va per ossari. Essi attendono
gremiti di mortalità lievi ormai, quai gemme di primavera,
gremiti di bravura e di paura. A ruota libera, e si va.
Buoni, ossari – tante morti fuori del qualitativo divario
onde si sale a sicurezze di cippo,
fuori del gran bidone (e la patria bidonista,
che promette casetta e campicello
e non li diede mai, qui santità mendica, acquista).
Hanno come un fervore di fabbrica gli ossari.
Vi si ricevono ordini, ordinazioni eterne. Vi si smista.
All’asilo, certi pazzi-di-guerra, ancora vivi
allevano maiali; traffici con gli ossari.
Mi avete investito, lordato tutto, eternizzato tutto, un fiotto di sangue.
Arteria aperta il Piave, né calmo né placido
ma soltanto gaiamente sollecito oltre i beni i mali e simili
e tutto solletichìo di argenti, nei suoi intenti, a dismisura.
Padre e madre, in quel nume forse uniti
tra quell’incoercibile sanguinare
ed il verde e l’argenteizzare altrettanto incoercibili,
in quel grandore dove tutti i silenzi sono possibili
voi mi combinaste, sotto quelle caterve di
os-ossa, ben catalogate, nemmeno geroglifici, ostie
rivomitate ma come in un più alto, in un aldilà d’erbe e d’enzimi
erbosi assunte,
in un fuori-luogo che su me s’inclina e domina
un poco creandomi, facendomi assurgere a
Così che suono a parlamento
per le balbuzie e le più ardue rime,
quelle si addestrano e rincorrono a vicenda,
io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi
mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico
Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera
io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra,
si avvicenda un fiore a un cielo
dentro le primavere delle ossa in sfacelo,
si avvicenda un sì a un no, ma di poco
differenziati, nel fioco
negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco.
lunedì 20 ottobre 2014
Stanley Kubrick...
Per un osservatore sito nella nebulosa di Andromeda,
il segno della nostra estinzione non sarebbe piu' appariscente
di un fiammifero che si accende per un secondo nel cielo.
giovedì 16 ottobre 2014
Attilio Lolini...........giovedi'
Per i poveri non c'è nessuna storia
chi distratto ci degno'
di uno sguardo
è sepolto da tempo
ci tirarono le orecchie
vomitandoci addosso
le nuove morali
preziose carte d' identita' la morte
distratta
non ci riconosce
mica sa quello che fa
ci trascura
ci fa dispetti
è al serviziodal senatore amintore
perche' ti ho rivista stanotte
dopo dieci anni cinque un secolo che ne so
gobba come allora
cacciata dai polfer
dalla sala d'attesa di seconda classe
tua residenza
oh civilta' costituzione
neppure il freddo ci stende secchi
siamo eterni
mister rumor
onorevole de martino
santo padre dei borghesi paolo
da " Negativo parziale " 1974
chi distratto ci degno'
di uno sguardo
è sepolto da tempo
ci tirarono le orecchie
vomitandoci addosso
le nuove morali
preziose carte d' identita' la morte
distratta
non ci riconosce
mica sa quello che fa
ci trascura
ci fa dispetti
è al serviziodal senatore amintore
perche' ti ho rivista stanotte
dopo dieci anni cinque un secolo che ne so
gobba come allora
cacciata dai polfer
dalla sala d'attesa di seconda classe
tua residenza
oh civilta' costituzione
neppure il freddo ci stende secchi
siamo eterni
mister rumor
onorevole de martino
santo padre dei borghesi paolo
da " Negativo parziale " 1974
venerdì 3 ottobre 2014
lunedì 25 agosto 2014
Roberto Roversi...
Quali e quante simmetrie per i nuovi padroni
Non posso parlare dei giovani perchè non so
ma posso cercare di capire
per capirli
perchè la mia giornata ormai sull'orlo
non si consumi soltanto in piccoli fuochi
" il sorgere della cattiva luna "
porta a cattivi pensieri
ma il giorno di sole brucia (brucia, ragazzo, brucia,)
non dormire, ti rubano il futuro
le gole d'oro le mani di neve e alla notte
corrono a frugare cancellano gli anni
ti preparano ai capelli bianchi ai cavalli azzoppati
VOGLIONO LISCIARE LA TERRA LASCIARLA DESERTA
ma tu cresci sulle onde alzati leggero e tocca i fumi
con gli occhi si può ferire il nemico
la ribellione del cuore si presta a cento travestimenti
contro
i falsi gabbadei i colli torti
i cagasotto della nostra età.
I CHIODI ARRUGGINITI
GLI ULTIMI ALBERI
le fabbriche come cattedrali spiritate
senza rumore suono senza voce
l'uomo lì muore come nella foresta
LO SPARTIVENTO
n. 9 - maggio 1988
Non posso parlare dei giovani perchè non so
ma posso cercare di capire
per capirli
perchè la mia giornata ormai sull'orlo
non si consumi soltanto in piccoli fuochi
" il sorgere della cattiva luna "
porta a cattivi pensieri
ma il giorno di sole brucia (brucia, ragazzo, brucia,)
non dormire, ti rubano il futuro
le gole d'oro le mani di neve e alla notte
corrono a frugare cancellano gli anni
ti preparano ai capelli bianchi ai cavalli azzoppati
VOGLIONO LISCIARE LA TERRA LASCIARLA DESERTA
ma tu cresci sulle onde alzati leggero e tocca i fumi
con gli occhi si può ferire il nemico
la ribellione del cuore si presta a cento travestimenti
contro
i falsi gabbadei i colli torti
i cagasotto della nostra età.
I CHIODI ARRUGGINITI
GLI ULTIMI ALBERI
le fabbriche come cattedrali spiritate
senza rumore suono senza voce
l'uomo lì muore come nella foresta
LO SPARTIVENTO
n. 9 - maggio 1988
giovedì 24 luglio 2014
Constantinos Kavafis...
Per quanto sta in te
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
martedì 15 luglio 2014
Boris Pasternak...
Tu
mi stai accanto, lontananza del socialismo.
Dici
d’esser vicina? Frammezzo alle angustie,
in nome della vita, in cui ci siamo legati,
trasportaci, ma solo tu.
in nome della vita, in cui ci siamo legati,
trasportaci, ma solo tu.
Tu
mandi fumo tra una nebbia di teorie,
terra fuori di ciarle e di calunnie,
come una porta sul mondo e una porta sul mare,
e una porta sulla Georgia da Mleti.
terra fuori di ciarle e di calunnie,
come una porta sul mondo e una porta sul mare,
e una porta sulla Georgia da Mleti.
Tu
sei il paese ove le donne di Putivl’
non piangono prima del tempo come i cuculi,
e con tutta la verità io le rendo felici,
e ad essa non occorre distoglierne lo sguardo.
non piangono prima del tempo come i cuculi,
e con tutta la verità io le rendo felici,
e ad essa non occorre distoglierne lo sguardo.
Dove
respirano l’una accanto all’altra,
e i ganci della passione non scricchiano
e non danno un residuo di frazioni
per sventura delle madri e dei bambini.
e i ganci della passione non scricchiano
e non danno un residuo di frazioni
per sventura delle madri e dei bambini.
Dove
io non ricevo alcun resto
in vita spicciola dall’esistenza,
ma segno solo ciò che spendo
e spendo tutto quello che conosco.
in vita spicciola dall’esistenza,
ma segno solo ciò che spendo
e spendo tutto quello che conosco.
Dove
la voce, mandata a rincorrere
una novità indistruttibile,
con l’esultanza del mio bambino
mi fa eco dall’avvenire.
una novità indistruttibile,
con l’esultanza del mio bambino
mi fa eco dall’avvenire.
Qui
sarà tutto: ciò che ho vissuto
nei presagi e nella realtà,
e coloro di cui non sono degno,
e ciò per cui fra di essi ho un nome.
nei presagi e nella realtà,
e coloro di cui non sono degno,
e ciò per cui fra di essi ho un nome.
Tu
sei ancora qui, e mi hanno detto
ove sei adesso e ove sarai alle cinque.
Io ti potrei trovare nel Kursaal,
piuttosto che ciarlare invano.
ove sei adesso e ove sarai alle cinque.
Io ti potrei trovare nel Kursaal,
piuttosto che ciarlare invano.
Tu
ascolteresti ritornando giovane,
grande, libera, audace,
dell’uomo giunto al limite
da una formica che è cresciuta troppo.
grande, libera, audace,
dell’uomo giunto al limite
da una formica che è cresciuta troppo.
Vi
sono nell’esperienza dei grandi poeti
tali tratti di naturalezza
che non si può, dopo averli conosciuti,
non finire con una mutezza completa.
tali tratti di naturalezza
che non si può, dopo averli conosciuti,
non finire con una mutezza completa.
Imparentati
a tutto ciò che esiste, convincendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un’eresia,
in un’incredibile semplicità.
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un’eresia,
in un’incredibile semplicità.
Ma
noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d’ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio tutto ciò che è complesso…
B. Pasternak, Le onde, 1931
se non sapremo tenerla segreta.
Più d’ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio tutto ciò che è complesso…
B. Pasternak, Le onde, 1931
martedì 17 giugno 2014
Luigi Di Ruscio...Epigramma...1982
I peli della poesia vengono divisi in mille parti
le balle che ci racconta il potere
invece spudoratamente ce le beviamo tutte
anche in questo caso è preferibile il contrario
beviamoci spudoratamente tutte le balle delle poesie
e le balle che ci racconta il potere
dividiamole in mille parti con tutte
le infinite metodologie critiche
le balle che ci racconta il potere
invece spudoratamente ce le beviamo tutte
anche in questo caso è preferibile il contrario
beviamoci spudoratamente tutte le balle delle poesie
e le balle che ci racconta il potere
dividiamole in mille parti con tutte
le infinite metodologie critiche
venerdì 23 maggio 2014
Elezioni europee...Velimir Chlebnikov
Solo noi, arrotolati i vostri tre anni
di guerra
in un cartoccio di minaccevole tromba,
cantiamo e gridiamo, cantiamo e
gridiamo,
ubriachi del fascino di quella
certezza,
che il Governo del Globo Terrestre
già esiste:
siamo Noi.
Solo noi abbiamo calcato sulle nostre
fronti
il serto selvatico di Governanti del
Globo Terrestre,
inesorabili nella nostra abbronzata
ferocia,
saliti sul masso del diritto di
conquista,
alzando il vessillo del tempo,
noi – vasai che cociamo le umide
argille dell’umanità
nelle brocche e nei bricchi del tempo,
noi – promotori della caccia alle
anime
urliamo in canuti corni marittimi,
chiamiamo a raccolta gli umani armenti
–
Evoè! Chi è con noi?
Chi ci è amico e compagno?
Evoè! Chi ci segue?
Così noi balliamo, pastori degli
uomini e
Dell’umanità, sonando il piffero.
Evoè! Chi è più grande?
Evoè! Chi è più avanti?
Solo noi saliti sul masso
di noi stessi e dei nostri nomi,
fra un mare di vostre maligne pupille,
solcate dalla fame dei patiboli
e contorte dall’estremo orrore,
sulla risacca dell’urlo umano
vogliamo che ci si apostrofi e d’ora
in poi ci si onori
Presidenti del Globo Terrestre.
Che sfacciati – diranno certuni,
no, sono santi, obbietteranno degli
altri.
Ma noi sorrideremo come dei,
additando con la mano il Sole.
Trascinatelo ad un guinzaglio per cani,
impiccatelo alle parole
“ Libertà ”, “ Fratellanza ”,
“ Uguaglianza “,
processatelo al vostro tribunale di
sguattere,
perché sulle soglie
d’una molto ridente primavera
ci ha ispirati questi bei pensieri,
queste parole e ci ha dato
questi sguardi sdegnosi.
Il colpevole è Lui.
Noi non facciamo che adempiere il
bisbiglio solare,
quando verso di voi erompiamo come
capimandatari dei suoi ordini,
dei suo severi comandi.
Le pingui folle dell’umanità
si stenderanno sulle nostre tracce.
Dove noi siamo passati,
Londra Parigi e Chicago
per gratitudine sostituiranno i loro
nomi coi nostri.
Ma perdoneremo una tale stoltezza.
Tutto questo è di là da venire,
e intanto, madri,
portate via i vostri figli,
se apparirà in qualche posto uno
stato.
Giovani, saltate e rintanatevi nelle
spelonche
e nel profondo del mare,
se in qualche posto vedrete uno stato.
Ragazze e chiunque fra voi non sopporta
l’odore dei morti,
cadete in deliquio alla parola ”
frontiere ”:
esse odorano di cadaveri.
Eppure ogni ceppo fu un tempo
una bella conifera,
un pino fogliuto.
Il ceppo è perverso soltanto per
questo,
che su esso si tronca la testa agli
uomini.
Così, stato, anche tu
sei parola assai bella nel sogno,
composta di ben cinque suoni:
con molte comodità e refrigerio.
Sei cresciuto in un bosco di parole:
ceneriera, fiammifero, cicca,
pari tra pari;
ma perché si va nutrendo d’uomini?
Perché il paese natio s’è fatto
cannibale,
e la patria sua sposa?
Ehi! Ascoltate !
A nome dell’intera umanità
ci rivolgiamo con maneggi di pace
agli stati del passato:
se voi siete splendidi, o stati,
come amate narrare di voi stessi
e di voi costringete a narrare i vostri
famigli,
allora perché questo cibo agli dei?
Perché scricchiamo, noi uomini, nelle
vostre mandibole,
tra zanne e denti molari?
Ascoltate, stati degli spazi,
ecco ormai da tre anni
voi fate finta
che l’umanità sia soltanto una
pasta,
un dolce biscotto che vi si scioglie in
bocca;
e se il biscotto scatterà come un
rasoio, dicendo: mammina?
Se lo spargeremo di noi,
come d’un tossico?
D’ora in poi noi ordiniamo di
sostituire
Le parole” Per grazia divina”
Con “Per grazia delle Isole Figi”.
E’ forse decente per il Signor Globo
Terrestre
(sia fatta la sua volontà)
incoraggiare il cannibalismo ecumenico
entro i confini di sé stesso?
E non è servilismo senza limiti
da parte degli uomini in quanto
mangiabili
proteggere il proprio Mangiatore
Supremo?
Ascoltate! Persino le formiche
spruzzano acido formico sulla lingua
dell’orso.
Se ci sarà qualcuno ad obiettare
che lo stato degli spazi non è
giudicabile
come ecumenica persona di diritto,
non obietteremo noi forse che l’uomo
è anch’esso uno stato: bimano,
di globuli sanguigni ed anch’esso
ecumenico?
Se gli stati sono perversi,
chi di noi moverà un solo dito,
per prolungare il loro sonno
sotto la coltre del Per Sempre?
Voi siete malcontenti, o stati
e loro governi,
in segno d’avviso battete i denti
e fate piccoli balzi. E con questo?
Noi siamo la massima forza
e sempre potremo rispondere:
a sommossa di stati
sommossa di schiavi, -
con una missiva bene assestata.
Stando sulla tolda delle parole “
Superstato della stella “
e non necessitando di bastone nell’ora
di questo rullio,
chiediamo: chi è più alto:
noi che in virtù del diritto di
sommossa
e inoppugnabili nel nostro primato,
servendoci della tutela delle leggi
sull’invenzione,
ci siamo proclamati Presidenti del
Globo Terrestre,
oppure voi, governi
di singoli paesi del passato,
questi prosaici residui caduti vicino a
macelli
di tori bipedi,
del cui cadaverico umore vi siete unti?
Quanto a noi, condottieri di un’umanità
da noi edificata secondo le leggi dei
raggi
con l’ausilio delle equazioni del
fato,
noi rinneghiamo i padroni,
che si spacciano per governanti,
per stati e altre case editrici
e ditte commerciali Guerra & C.,
che hanno appoggiato i mulini del dolce
benessere
all’ormai triennale cascata
di vostra birra e di nostro sangue
dall’inerme onda rossa.
Vediamo stati ruzzolare sulla spada
per lo sconforto del nostro avvento.
La patria sulle labbra, sventolandovi
col ventaglio del regolamento
bellico-campale,
avete con impudenza inserito la guerra
nel cerchio delle Fidanzate dell’uomo.
Ma voi, stati degli spazi, placatevi
e non piangete come ragazzine.
Come intesa privata di privati,
assieme alle società degli ammiratori
di Dante,
dell’allevamento di conigli, della
lotta con le arvicole,
entrerete sotto l’usbergo delle leggi
da noi promulgate.
Non vi toccheremo.
Una volta per anno potrete adunarvi in
annuali adunanze,
passando in rassegna le forze che si
rarefanno
e in base al diritto delle
associazioni.
Restate dunque volontaria intesa
di privati, non necessaria a nessuno
e per nessuno importante.
Fastidiosa come un mal di denti
in una Nonnina del XVII secolo.
Rispetto a noi voi siete
come l’irsuta gamba-mano d’una
scimmia,
scottata da un recondito dio-fiamma,
rispetto alla mano d’un pensatore,
che placida
governa l’universo,
di questo cavaliere della sorte
sellata.
C’è di più: noi fondiamo
la società per la difesa degli stati
dal ruvido e feroce trattamento
delle comuni del tempo.
Come deviatori
ai binari d’incontro del Passato e
del Futuro,
guardiamo con uguale sangue freddo
alla sostituzione dei vostri stati con
una
comunità edificata scientificamente,
come alla sostituzione d’una ciocia
di tiglio
col bagliore di specchio d’un treno.
Compagni-operai! Non vi lagnate di noi:
come operai-architetti, noi andiamo
per una strada speciale ad un fine
comune.
Noi siamo un genere speciale d’arma.
Dunque il guanto di sfida
di quattro parole “ Governo del Globo
Terrestre “
è gettato.
Intersecato da una rossa folgore,
l’azzurro stendardo dell’Anarchia,
stendardo delle albe ventose, dei soli
aurorali,
è issato e sventola sopra la terra,
eccolo, amici miei !
Il Governo del Globo Terrestre!
Velimir Chlebnikov - 21 aprile 1917
mercoledì 9 aprile 2014
Hannah Arendt...
Una società di consumatori non saprà mai prendersi cura di un mondo e delle cose pertinenti in esclusiva allo spazio delle apparenze terrene, perchè la sua posizione fondamentale verso tutti gli oggetti - il consumo - significa la rovina di tutto ciò che tocca.
giovedì 3 aprile 2014
F 35 - Settanta anni fa
Nelle comunicazioni relative ad attacchi aerei mancano di rado i nomi delle ditte che hanno fabbricato gli apparecchi: Focke-Wulff, Heinkel, Lancaster appaiono al posto dei corazzieri, ulani e ussari di una volta. Il meccanismo della riproduzione della vita, del suo assoggettamento e della sua distruzione, è immediatamente lo stesso, e quindi industria, stato e rèclame vengono fusi insieme. Il vecchio paradosso di liberali scettici, “la guerra è un affare”, si è realizzato: il potere statale ha rinunciato persino all’apparenza dell’indipendenza dall’interesse particolare e si pone ormai anche ideologicamente – poiché di fatto lo fu sempre – al suo servizio. Ogni menzione elogiativa della grande ditta in occasione della distruzione di una città contribuisce a farle il buon nome grazie al quale otterrà poi i migliori incarichi al momento della ricostruzione.
Theodor W. Adorno da “Minima moralia. Meditazioni della vita offesa” parte prima 1944
Theodor W. Adorno da “Minima moralia. Meditazioni della vita offesa” parte prima 1944
Siamo un incidente della natura
ma pensiamo di essere al centro dell' universo
siamo a pochi passi dall'oblio
ma in qualche modo
speriamo di essere immortali.
J. Ballard
mercoledì 26 marzo 2014
Franco Fortini...
La sera si fa sera
La sera si fa sera
tu non avrai compagni.
Ed allora verrà
la faina da te
per metterti paura.
Ma non prender paura,
prendila per sorella.
La faina conosce
e l’ordine dei fiumi
e i fondali dei guadi
e ti farà passare
senza che tu t’anneghi
e poi ti condurrà
fino alle fonti fredde
perché tu ti rinfreschi
dai polsi fino ai gomiti
dei brividi di morte.
Anche comparirà
davanti a te il lupo
per metterti paura.
Ma non prendere paura
prendilo per fratello.
Perché il lupo conosce
e l’ordine dei boschi
e il senso dei sentieri
e t’accompagnerà
per la via più leggera
verso un alto giardino
dove la luce è quieta.
Il tuo posto è laggiù,
dove vivere è bello
dovè il campo di dalie
la collina dei giuochi.
E laggiù c’è il tuo cuore.
domenica 16 marzo 2014
Roberto " Freak " Antoni...
NOSTALGIA DELLA MISERIA
Qualche volta
ho nostalgia della miseria,
e sento come un'attrazione
per la mia vecchia depressione
Lo so-lo so:
è una cosa un po' perversa,
avere nostalgia della miseria
e pensare con emozione
ai momenti di gran desolazione
E' un ricordo
che dà i brividi alla schiena
risentire quando stavo così in pena
E' una faccenda decadente-e-immorale
desiderare
di stare molto male
Non è cosa molto seria
la nostalgia della miseria
POLEMICA
Se c'è una cosa
che non sopporto
è la presunzione di chi crede
di essere migliore di me
Qualche volta
ho nostalgia della miseria,
e sento come un'attrazione
per la mia vecchia depressione
Lo so-lo so:
è una cosa un po' perversa,
avere nostalgia della miseria
e pensare con emozione
ai momenti di gran desolazione
E' un ricordo
che dà i brividi alla schiena
risentire quando stavo così in pena
E' una faccenda decadente-e-immorale
desiderare
di stare molto male
Non è cosa molto seria
la nostalgia della miseria
POLEMICA
Se c'è una cosa
che non sopporto
è la presunzione di chi crede
di essere migliore di me
G. Fini - C. Giovanardi
La realtà non è altro che una
stampella per coloro
che non riescono a reggere le droghe.
Woody Allen
lunedì 10 febbraio 2014
Boris Pahor.......Quale memoria? Il confine e il fascismo
Mi sono spesso chiesto da dove venisse
la mia avversione per l’ossessione delle foibe che ha colpito
l’Italia negli ultimi anni. Non che
voglia sminuire questo dramma, anzi credo di essere stato uno dei
primi a denunciare le violenze dei partigiani jugoslavi quando ho
pubblicato un intervista con il poeta sloveno Edvard Kocbek nel
lontano 1975 sulle uccisioni dei collaborazionisti sloveni alla fine
della Seconda guerra mondiale. Infatti, al contrario di quello che si
crede comunemente in Italia, nelle foibe non finirono soltanto gli
italiani, ma i “nemici del popolo” jugoslavo, indipendentemente
dalla loro appartenenza nazionale. Ma l’Italia tende a travisare o
a selezionare la propria memoria storica, lasciando che la passione
nazionale o la volontà politica prevalgano sulla realtà dei fatti.
Proprio il caso delle foibe dimostra che si dovrebbe ricostruire e
rendere noto il fenomeno nella sua complessità, in modo che diventi
il simbolo di tutte le violenze che attraversarono questa terra di
confine dal ventennio fascista all’ultima fase della Seconda guerra
mondiale.
Spesso si dimentica che nella Venezia
Giulia, in Istria e in Dalmazia non esiste soltanto la memoria
italiana, ma anche quella slovena e croata. Nel 2004 l’Italia ha
approvato la celebrazione del giorno del Ricordo, il 10 febbraio, “al
fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli
italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro
terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e
della più complessa vicenda del confine orientale”.
Mi aspettavo che la legge sul giorno
del Ricordo si impegnasse a far conoscere obiettivamente i conflitti
che hanno lacerati queste terre, invece mira alla costruzione di una
memoria unica e parziale, che non esito a definire prettamente
nazionalista, perché denuncia i soprusi subiti dagli italiani e tace
quelli che loro hanno perpetrato.
Eppure il fascismo nella Venezia Giulia
di allora attecchì rapidamente fin dal 1920 e in questa regione
plurietnica la repressione nazionalista colpì duramente le
minoranze, con processi contro gli antifascisti “slavi” da parte
del Tribunale speciale, la proibizione delle associazioni culturali e
politiche, la chiusura delle scuole slovene e croate e
l’italianizzazione forzata, a partire dalla lingua e dai nomi.
Molti, nel resto d’Italia, neppure sapevano dell’esistenza di
comunità slave sul territorio nazionale. Anzi, sotto il fascismo noi
non eravamo considerati una comunità, ma una massa ignorante. La
politica negli anni Venti e Trenta non fu che un preludio alla
violenza che si sarebbe scatenata dopo l’invasione della Jugoslavia
da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile del 1941. Fu
nella cosiddetta “Provincia di Lubiana” che l’occupazione delle
forze armate italiane portò alla catastrofe: villaggi bruciati,
esecuzioni sommarie di ostaggi, soprusi contro la popolazione
civile, campi di concentramento. Interi villaggi furono deportati nel
campo di concentramento di Rab (Arbe): dai neonati alle persone
anziane, tutti vivevano sotto delle tende e dormivano sulla paglia
bagnata dalla pioggia. Mancavano acqua e cibo. I bambini morivano di
fame e di freddo e le madri erano così disperate da arrivare a
nascondere i cadaveri dei propri bambini nella paglia pur di non
perdere la razione del figlio.
Di tutto ciò non si fa cenno nella
legge del 10 febbraio. Si vuole ricordare solo quanto è accaduto in
Istria centrale dal 1943 in poi e la questione delle foibe.
Rappresentare la storia a senso unico non è accettabile. E’ chiaro
che questa legge rientra in una prospettiva di riconciliazione
nazionale, ma è altrettanto chiaro che non la si dovrebbe
raggiungere a nostre spese. Non ammetto neppure che essa sia al
contempo un atto di accusa contro un intera comunità “slava”,
che in realtà è composta, come già accennato, da una parte di
croati e dall’altra di sloveni. In nome di questa volontà di
pacificazione interna, l’Italia tende a occultare o tralasciare una
parte della storia: insiste sulle violenze e sui soprusi subiti, e
anzi li amplifica a dismisura, ignorando i risultati delle ricerche
storiche più recenti. Lo dimostra chiaramente il discorso del
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del
giorno del Ricordo del 2007: già nello scatenarsi della prima
ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si
intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo
nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della
presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia
Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un
disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato
di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia
etnica”. Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel
modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle
barbarie del secolo scorso.
Per ciò che riguarda noi, vorrei
specificare che il cosiddetto “disegno annessionistico”, di cui
il presidente Napolitano ci ha accusato, riguarda la riconquista
nella lotta insieme agli Alleati del territorio del litorale sloveno
che l’Italia aveva ottenuto Dopo gli accordi di Londra nel 1915 e
definitivamente alla fine della Prima guerra mondiale. Per fortuna
questi toni forti, e per certi versi offensivi, si sono attenuati e
quest’anno, nel febbraio 2009, il presidente della Repubblica, dopo
un discorso del presidente della Slovenia Danilo Turk, ha preso in
parte in considerazione la memoria slovena, dicendo che l’Italia
ricordava anche ciò che il fascismo aveva fatto alla popolazione
slovena. Tuttavia non basta ricordare, occorre anche spiegare,
soprattutto alle giovani generazioni che di questi fatti sanno poco o
niente. Un buon punto di partenza per una memoria che tenga conto di
tutte le vicende del confine orientale – come reciterebbe a rigore
la legge – potrebbe essere la relazione della Commissione
storico-culturale italo-slovena, frutto di una collaborazione tra
storici di entrambe le nazionalità che per diversi anni hanno
lavorato congiuntamente sugli aspetti più controversi della storia
di questa regione di confine tra il 1880 e il 1956. Bisognerebbe
pubblicare la relazione e presentarla nei libri scolastici di storia,
come hanno fatto la Francia e la Germania per le loro vicende, in
modo da creare un punto di incontro per i giovani che spesso
conoscono soltanto una parte della storia, quella nazionale. Credo
che su questi avvenimenti dolorosi ci sia la necessità di fare
chiarezza per chiudere i conti con il passato, altrimenti il rischio
è di ricordare solo la “barbarie slava”, dimenticando quella
italiana. Eppure, i criminali di guerra italiani non sono mai stati
né processati né giudicati per gli eccidi e le devastazioni
inflitte alle popolazioni delle zone di confine. Ha ragione Paolo
Rumiz quando dice che l’Italia è l’unica nazione europea che ha
ben due giorni dedicati alla Memoria, ma è anche l’unica a
servirsene non per chiedere scusa ma per esigere scuse. In questo
avrebbe molto da imparare dalla Germania, che si è impegnata a tener
vivo il ricordo delle vittime e ha riconosciuto le propie colpe, non
solo con commemorazioni pubbliche, ma anche con la ricerca storica.
Al contrario,in Italia stenta tuttora a farsi strada un vero
dibattito sulle responsabilità nazionali nella Seconda guerra
mondiale e si sottovalutano il ruolo del fascismo e i suoi crimini.
L’”Espresso”, già il 27 marzo 2003, scriveva: “Da noi un
lato l’Italia, che in un primo momento aveva visto con favore la
seconda Norimberga, non aveva però nessuna intenzione di consegnare
i nostri generali a partire da Roatta, a loro volta sotto accusa per
crimini commessi come alleati dell’Asse”. Io mi permetterei di
dire che si tratta pure di una questione di onore. Significativamente
tra i libri italiani che trattano i crimini commessi dai fascisti
durante la guerra, uno si intitola appunto Italiani senza onore di
Costantino Di Sante. Perché non si portano i ragazzi nei campi di
concentramento italiani, come quelli di Rab, Gonars, Visco,
Chiesanuova, Monigo, Grumello e altri ancora? E’ giusto che i
giovani vadano a visitare le foibe, ma prima devono avere la
possibilità di conoscere e studiare tutta la complessa situazione
storica. Andare solo alla Risiera di San Sabba, che fu voluta dai
nazisti, non basta e perpetua quell’immaginario descritto da Paolo
Rumiz: “Innocenti noi, barbari loro. Deponiamo corone d’alloro e
torniamo a casa contenti di essere stati, ancora una volta, italiani
brava gente”.
Boris Pahor
Non si può mai ignorare il dolore
degli altri.
Bruno Crainz
martedì 4 febbraio 2014
sabato 25 gennaio 2014
A. Momigliano - D. Bidussa
… ma
qualunque cosa si scrive su quel periodo che finisce con fascisti e
nazisti
collaboranti nell’inviare milioni di ebrei nei campi di
eliminazione,
un
affermazione va ripetuta. Questa strage immane non sarebbe mai
avvenuta
se in Italia, Francia e Germania (per non andare oltre) non ci
fosse
stata una indifferenza maturata nei secoli, per i connazionali ebrei.
L’indifferenza
era l’ultimo prodotto delle ostilità delle chiese per cui
la
“conversione” è l’unica soluzione al problema ebraico.
Arnaldo
Momigliano da “ Pagine ebraiche “ 1987
Sue Coe
La Shoah in Italia è stata l’ultimo episodio di una vicenda che legislativamente
inizia nel 1938 ma che culturalmente si nutre di molti apporti, alcuni formatisi
“velocemente” altri presenti a lungo e sotterraneamente nella società civile
italiana e nelle sue élite culturali, altri infine che si combinano e si determinano
anche in relazione a una precisa contingenza. Ma è un fatto che, una volta finita
la guerra, non tutti “volevano sapere” e chi voleva raccontare o affrontare
la questione, anche prescindendo dai “conti che voleva regolare”, si trovava
a recitare la parte del vecchio marinaio di Coleridge: uno strampalato che
con la forza, e non senza fatica, doveva trattenere i suoi riluttanti ascoltatori
diretti spensieratamente alla festa. In sintesi: uno scocciatore.
inizia nel 1938 ma che culturalmente si nutre di molti apporti, alcuni formatisi
“velocemente” altri presenti a lungo e sotterraneamente nella società civile
italiana e nelle sue élite culturali, altri infine che si combinano e si determinano
anche in relazione a una precisa contingenza. Ma è un fatto che, una volta finita
la guerra, non tutti “volevano sapere” e chi voleva raccontare o affrontare
la questione, anche prescindendo dai “conti che voleva regolare”, si trovava
a recitare la parte del vecchio marinaio di Coleridge: uno strampalato che
con la forza, e non senza fatica, doveva trattenere i suoi riluttanti ascoltatori
diretti spensieratamente alla festa. In sintesi: uno scocciatore.
David
Bidussa da “ Il mito del bravo italiano “ 1994
domenica 12 gennaio 2014
Sergio Solmi.......La guerra vuol dire:
Quello del sudore.
L’odore dell’escremento raffermo.
Quello del sangue fresco sotto il sole, denso, dolce,un po’ nauseabondo.
L’odore della putrefazione.
L’odore dell’anice nella borraccia.
L’odore delle sigarette Sport trovate nella trincea austriaca abbandonata, in pacchi semicircolari di carta marrone.
L’odore di pece arsa degli apparecchi Mazzetti-Niccolai contro i gas.
L’odore di gomma del respiratore inglese.
L’odore di mandorla pungente dell’iprite. L’odore della polvere bruciata.
L’odore dell’erba, annusata la faccia contro terra, spiando la piega del terreno-riparo per il prossimo balzo.
Sergio
Solmi
Risiera di S. Sabba
W. H. Auden.........1 gennaio 1940 - 1 gennaio 2014
. . . . . . .
Ma i desideri non sono cavalli,
questo
Annus non è mirabilis;
il giorno si leva su un mondo che
noi conosciamo
di guerra e strage e sventura;
confusi civili vanno al dolore
in fratellanze senza fede,
le cui buone intenzioni non
possono sanare
i mali attuali che affrontano
né spianar la loro carriera
pratica,
né avvicinare il loro lontano
orizzonte.
Il Nuovo Anno porta una terra
sgomenta,
la democrazia un confezionato e
chiassoso
slogan di pubblicista, e
i poveri traditi alla mercè
di adulatori ambiziosi, e la
verità
sferzata dai vecchi fuori dalla
giovinezza,
i pacifici che svengono sui loro
sentieri
con le tombe dei martiri alle
spalle,
e la cultura a carponi per
salutare
un élite macellaia e criminale,
mentre nelle valle delle stupide
pecore
vecchi patrizi reumatici
piangono.
Le nostre notizie sono raramente
buone: il cuore,
come disse Zola, deve sempre
iniziare
il giorno inghiottendo il suo
rospo
di fallimento e disgusto. La
nostra via
peggiora e noi sembriamo
interamente
perduti mentre le nostre teorie,
come il tempo,
mutano completamente rotta ogni
giorno,
e tutto ciò che possiamo sempre
dire
è: la vera democrazia comincia
con una franca confessione dei
nostri peccati.
In questo solo sono tutti uguali,
tutti sono così deboli che
nessuno osa affermare
“ Io ho il diritto di governare
“ o
“ Contempla in me la legge
morale “
e ogni reale unità comincia
dalla coscienza delle diversità,
perché tutti hanno bisogni da
soddisfare
e ciascuno un potere da fornire.
Noi abbiamo bisogno di amare
tutti poiché siamo
ciascuno un particolare unico
che non è gigante, dio, o nano
ma un bizzarro umano isomorfo;
possiamo amare ognuno poiché
sappiamo
tutti, tutti noi che è così:
possiamo vivere poiché siamo
vissuti, i poteri
coi quali creiamo non sono
nostri.
. . . . . . . . .
.
Noi cadiamo nella danza, noi
commettiamo
il vecchio ridicolo errore,
ma sempre vi sono persone come te
che perdonano e aiutano ciò che
facciamo.
Ogni giorno nel sonno e nella
fatica
la nostra vita e morte sono col
nostro prossimo,
e l’amore illumina ancora
la città e la tana del leone,
la grande rabbia del mondo, il
viaggio dei giovani.
Wystan Hugh Auden da “ Lettera per il nuovo anno “ 1 gennaio 1940
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