Una volta una signora mi ha detto: "Ma questo Dadaismo, questo Surrealismo non avrà un cattivo effetto sui giovani?" Le ho risposto: "Signora, ho fatto molti quadri in vita mia e sto ancora cercando di fare un quadro alla cui vista certe persone cadono morte, ma non ci sono ancora riuscito." - Man Ray -
mercoledì 28 novembre 2018
Speranza e disperazione...
Negli ultimi cinque secoli i flussi migratori hanno raggiunto livelli senza precedenti, in
termini sia di distanze coperte, sia di quantità di persone che si spostano. E' tempo di affrontare
una domanda fondamentale: perché la gente migra? Una volta tanto, la risposta è semplice: o
perché vuole o perché deve. Perché vuole: i cacciatori seguono la selvaggina, gli agricoltori cercano
nuova terra arabile; si sposta continuamente chi commercia, di necessità, ma anche gli
industriali, in cerca di migliori infrastrutture e regimi fiscali; fin dal Medioevo gli studenti
vanno nei posti dove l'istruzione è migliore o costa meno, e i loro docenti verso paesi in cui la
ricerca è meno trascurata. Molti di questi spostamenti incidono sulla società e sull'uso delle
risorse naturali: vivere vicino all'acqua semplifica la vita e i traffici, ma così certe aree si
riempiono di gente mentre altre si spopolano. E poi ci sono i cambiamenti climatici, gli
eventi politici e le epidemie. Allora si migra perché si deve: perché non c'è acqua o non c'è
lavoro; perché c'è la guerra o perché non c'è ma ci hanno circondato di filo spinato; perché
si è in troppi, o in troppo pochi, o perché il gruppo (etnico, religioso, politico) cui apparteniamo
è perseguitato. Nel corso della preistoria e della storia tutto è cambiato più e più volte,
ma non le due molle che hanno spinto la gente via da casa: speranza e disperazione.
Guido Barbujani - Andrea Brunelli
Il giro del mondo in sei milioni di anni
Il Mulino edizioni - 2018
domenica 25 novembre 2018
giovedì 22 novembre 2018
Il robot scarafaggio... EXTRA MONDO
EXTRA MONDO
E' stato creato un robot che può appiattirsi dimezzando la sua altezza
e continuare ad avanzare in spazi ristretti senza perdere velocità.
I ricercatori si sono ispirati agli scarafaggi. La macchina è dotata di un
guscio rigido, articolato in più segmenti, con basso attrito. Secondo
Pnas, potrebbe essere usata nelle aree colpite da disastri, per esempio
per soccorrere le persone sotto le macerie.
lunedì 19 novembre 2018
Maurizio Cucchi...
Cartongesso
Lo spazio si apre, il mondo
diventa minima terra e in breve
ovunque percorribile e così spesso
identico a se stesso. E allora
ecco la reazione astorica,
il paradosso, l'autodifesa ottusa,
la trappola, dove affondare in nome
di una diversità meschina, di una
irrilevante identità superflua,
creando barriere, separatezze,
autonomie e confini, cordoni
sanitari, muri di cartongesso
dove a sbattere il muso
sarà, più del diverso, il topo
che si è dentro rinchiuso.
venerdì 16 novembre 2018
Velimir Chlèbnikov...
Dal sacco
si sparsero al suolo le cose.
Ed io penso
che il mondo
è soltanto un sogghigno,
che luccica fioco
sulle labbra di un impiccato.
- 1908 -
In fondo al sacco... 2013 / 2018
mercoledì 14 novembre 2018
A. Leogrande...
A SUD
Arrivando a Taranto in treno, lo sguardo è inevitabilmente portato a seguire il degradare del paesaggio verso il litorale. I campi coltivati a grano, a ulivo, a vite cedono lentamente il passo alla macchia mediterranea che accompagna le coste basse e sabbiose fino alla città; gli ultimi chilometri di ferrovia si dividono fra la monotonia irregolare degli arbusti bassi e verdi e la comparsa del mare, generalmente calmo. Poi, tutto a un tratto, ecco spuntare i primi segni della fabbrica: quell'impressionante ammasso di acciaio, cemento e fumo che devasta la terra su cui si erge. Ciminiera dopo ciminiera, cumulo di ghisa dopo cumulo di ghisa, deposito dopo deposito, la distesa sconfinata dell'Italsider occupa un territorio di quasi duemila ettari, una superficie, cioè, persino più estesa di quella occupata dall'intera città! La fabbrica è un mondo a sé, una città al di là della città: un universo chiuso che negli anni, nei decenni, non ha accettato altro rapporto con il territorio circostante che non fosse quello di puro dominio.
Alessandro Leogrande da " Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale "
lunedì 12 novembre 2018
Marco Aime...
3 proverbi africani
La menzogna segue il sentiero,
la verità cercala tra l'erba
Il bambino che non è mai uscito di casa
crede che solo sua madre sappia fare bene il sugo
Se hai un solo dente in bocca,
usalo per sorridere.Se hai un solo dente in bocca,
da "Il soffio degli antenati" di Marco Aime
Einaudi editore - 2017
Einaudi editore - 2017
venerdì 9 novembre 2018
Guido Barbujani...
... che dopo un po' di tempo dalla prima immigrazione africana, diciamo intorno a 29.000
anni fa, non c'erano più Neandertal, c'eravamo solo noi, e nel giro di pochissimo tempo
anche tutte le altre forme umane arcaiche, in Asia, sono scomparse e siamo rimasti solo
noi: gli africani. Noi che abbiamo la fronte verticale, noi che abbiamo il mento, e la testa
schiacciata sul retro. Basta controllare: chi ha queste tre caratteristiche è africano.
Siccome ce le hanno tutti, siccome non si trova più in giro nessuno che non ce le abbia,
significa per forza che siamo tutti discendenti degli stessi antenati: gli africani che già intorno
a 150.000 anni fa avevano il mento, la fronte verticale e l'osso occipitale ridotto.
Siamo gli immigrati che hanno rapidamente costretto a uscire di scena i vecchi residenti,
i vecchi europei, i vecchi asiatici, e nel giro di poche migliaia di anni hanno preso possesso
dell'intero pianeta.
...noi siamo una mescolanza di contributi diversi, arrivati fino a noi da antenati che stavano
in varie parti del mondo: da questo punto di vista siamo come i tonni pinna gialla. Un po'
meno omogenei di loro, in realtà: le diverse popolazioni di tonni pinna gialla hanno in
comune il 99% del loro DNA variabile (noi l'88%) e le differenze sono solo l'1% (da noi
il 12%). C'entra probabilmente il fatto che l'essere bipedi ci rende più mobili degli scimpanzé,
ma il potersi muovere attraverso mari in cui non ci sono barriere se non quelle climatiche
rende i tonni più mobili di noi che invece, girando a piedi, incontriamo anche deserti, bracci
di mare e catene montuose (e non era ancora stato concepito il muro del Brennero): tutte cose
che non incoraggiano a migrare.
Guido Barbujani - Gli africani siamo noi - Laterza editori - 2016
martedì 6 novembre 2018
4 Novembre 1918...
L'ALTRO IERI
...perché quella guerra non fu per nulla "nazionale", in quanto voluta da ristrettissimi gruppi economici, e dai loro rappresentanti politici, e produsse un enorme arricchimento per i pochi, un immiserimento per i molti; e quella guerra fu combattuta proprio dai poveri, che quando non ci lasciarono la pelle, o un braccio o un occhio, tornarono a casa poveri come erano partiti, e molti furono colpiti dall'epidemia di spagnola che fece più morti della guerra. La "vittoria" del 4 novembre fu una vittoria per la Fiat, per l'Ansaldo, e per gli altri padroni del vapore, e per quegli intellettuali invasati che avevano invocato la guerra come "igiene".
Angelo D'Orsi da "Il Manifesto" del 2 novembre 2018
domenica 4 novembre 2018
4 Novembre 1918...Oggi...Cento anni fa
4 novembre 1918
4 novembre 2018
4 novembre 2018
Così, ci hanno fatto l’adunata, sempre senza rancio, e hanno chiamato l’apello per vedire che era asente. Poi, ci hanno detto che chi ave li callette e li scatolette si li mancia, e quelle che non ci n’abiamo manciammo questa mincia, e ci dovemmo contantare che avemmo vinto la querra. E tutte ci abiammo quardate in faccia e tutte diciammo :” Ancora manciare per noi non ci n’è. Abiammo vinto la querra e abiammo perso il manciare!”
da “Terra matta” di Vincenzo Rabito
venerdì 2 novembre 2018
Hito Steyerl...
Ma ecco emergere la più radicale conseguenza del fatto che internet è passata offline: se le immagini si possono condividere e far circolare, perché non si può fare lo stesso con tutto il resto? Se i dati migrano di schermo in schermo, anche le loro incarnazioni materiali si possono muovere di vetrina in vetrina e attraverso altre recinzioni. Se si può eludere il copyright e criticarne la legittimità, perché non si può fare lo stesso con la proprietà privata? Se si può condividere un piatto in jpeg su Facebook, perché non il pasto vero? Perché non applicare i principi del fair use anche allo spazio, ai parchi e alle piscine? Perché rivendicare l'accesso libero solo alla libreria digitale jstor e non al Mit di Boston o a scuole, ospedali, università? Perché le nuvole di dati non dovrebbero scaricare una pioggia di prodotti del supermercato? Perché non mettere in comune l'acqua, l'energia e il Dom Perignon? Se il circolazionismo vuole avere un peso, deve passare nel mondo della distribuzione offline, della disseminazione in 3D delle risorse, della terra e dell'ispirazione. Perché non ritirarsi piano piano da un internet che sta tra i morti viventi per costruire altre reti?
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