martedì 27 settembre 2016

Martin Caparros...La fame...4 di 4

 
Adesso, diseguaglianza.

     Viviamo sottoposti all'impero delle cifre: mai come ora i numeri hanno avuto tanto peso nella nostra visione del mondo. Tutto sembra misurabile; istituzioni, governi, università, aziende spendono fortune nel computare le variabili più recondite e le più visibili: popolazioni, malattie, produzioni, mercati, bacini di utenza, geografie, miserie, prospettive. Tutto ha un numero. E' difficile, è nuovo: gli Stati e i loro capi  da secoli cercano di censire tutto quello possono;  da poco hanno gli strumenti per farlo a loro piacimento. E lo fanno: per sapere come siamo, bisogna misurare; per sapere cosa serve e cosa non serve, bisogna misurare; per sapere cosa fare, misurare; per sapere se quanto fatto andava bene o male, misurare misurare misurare. Il mondo non è mai stato così tanto misurato, cauto. Per secoli, una persona, una persona attenta poteva notare che i bambini indiani erano molto magri e che mangiavano molto poco; ora può leggere nei rapporti più dettagliati che il 47,2 per cento  è sottopeso - e supporre di aver capito quanto succedeva.
       L'apparenza della misurabilità fa sì che crediamo di avere tutti i dati necessari. I numeri dànno un'apparenza di solidità  a qualsiasi iniziativa, a qualsiasi politica, a qualsiasi affare, a qualsiasi protesta. Ma sono, innanzitutto, un'eredità distorta, il riflesso di quell'universo dove ciò che è decisivo è se l'azienda ha guadagnato 34 480 415 o 34 480 475. Un adattamento dello sguardo a questo sguardo. I numeri sono la lingua con la quale pensiamo di capirci - pretendiamo di capirci, cerchiamo di capirci. I numeri sono la forma contemporanea di conoscere il mondo: approssimativa, inesatta, superba. Anche questo libro è pieno di numeri -  me ne vergogno un pochino, come mi vergogno a pronunciare la ci e la zeta con il mio accento argentino quando sono in Spagna: parlare una lingua che non è del tutto mia per credere che mi sto accertando di farmi capire.

      La diseguaglianza si definisce con i numeri.


Martin Caparros...
La fame...
Einaudi editore...
...4 di 4



venerdì 23 settembre 2016

Haiku d'autunno......



    Haiku d'autunno      

Autunno denso di nubi
  sul viso vecchio.
    Arriva mia madre.


Salendo e scendendo,
la Via Lattea
   pettina la pianura.


Sugita Hisajo
1890 - 1946

    Haiku d'autunno      

lunedì 19 settembre 2016

Martin Caparros...La fame...3 di 4


Leggo testi di biologia e, come sempre, corro il rischio di diventare mistico: non è inverosimile che tanta complessità, una tale perfezione servano a generare vite così incomplete, così banali? Alle infinite e sofisticate reazioni che avvengono in milioni di cellule e si coordinano affinché un uomo apra la bocca non dovrebbero corrispondere manicaretti squisiti che entrano tra quelle labbra? La raffinatezza che permette a un timpano di percepire vibrazioni dell'aria e trasmetterle agli ossicini dell'orecchio medio  per farle arrivare alle cellule ciliate della coclea che le trasformano in elettricità affinché i nervi le portino al cervello che le ricomporrà per informarci non meriterebbe che le parole ascoltate fossero sempre musica? Il grado di evoluzione del meccanismi naturali - qui la mistica - non dovrebbe portarci a confidare in un grado simile di evoluzione sociale? O, detto in modo meno lirico: ha senso che organismi così complessi facciano vite così di merda? A meno che non ci troviamo nella fase trilobite della storia. Di sicuro la trilobite si credeva una gran cosa: era - in un modo irrazionale che non sempre capiamo - molto soddisfatta di se stessa.
Il mondo è un'assurdità, la vita: la passiamo mangiando, scopando, consumando, facendo passare il tempo per passare il tempo. Ma comunque la differenza tra una strada di una qualunque città e un bosco o un campo è così straordinaria che non posso credere che non l'abbiamo fatto per qualcosa. Abbiamo inventato troppo per non aspirare a qualcosa di più: un senso, una bellezza intrinseca, una certa perfezione (?) che finisca per giustificare tanti sforzi.
   Anche se abbiamo motivi di soddisfazione:
   per noi, abitanti - più o meno - ricchi dei paesi - più o meno - ricchi, la vita non è mai stata così bella. Per quanto si forzi il vecchio mito dell'età dell'oro, è chiaro che le nostre vite sono molto meglio di quelle dei nostri trisavoli. Ci sono parametri lampanti: il fatto che viviamo, in media, 30 anni in più - 30 anni in più - di un secolo fa è una prova indiscutibile. Tante malattie che ci uccidevano adesso non ci uccidono più. Tanti luoghi che ci erano inaccessibili, tante cose che non conoscevamo, ormai sono alla nostra portata. Non c'è più fame per carenza; solo per ingordigia.
    Lo è anche, per la specie, essere riusciti a diventare 7 miliardi di individui. Di solito la si considera una cosa terribile: la summa di tutti i pericoli.
   (Ma coloro che la criticano partono dal presupposto più che ottimista che se ci fossero meno persone, loro sarebbero tra quelli che ci sono, non tra quelli che non ci sono. Certezze: per coloro che non ci sarebbero se non fossimo così tanti, è molto meglio che lo siamo. A meno che si discuta se essere sia peggio che non essere e si tratta di questioni sempre assai interessanti). In termini di specie: il fatto che ci siano più individui e vivano più a lungo è un indubbio segno di miglioramento. Se ce ne erano sempre stati di meno non era per uno sfrenato gusto bucolico che preferiva non sovraccaricare gli scenari naturali; era perché quando cominciavano a essercene di più morivano di epidemie, di fame - o per le guerre che la lotta per le risorse provocava.
     Adesso un po' meno - ed è un chiaro segno di progresso.


Martin Caparros...
La fame...
Einaudi editore...
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mercoledì 14 settembre 2016

Martin Caparros...La fame...2 di 4


Il trucco consiste nel presentare la malattia come il rimedio.

(E' una posizione che sta riscuotendo grande successo - e molti ne approfittano. Nel 1985, l'Etiopia subì una delle ultime carestie moderne - la cui causa fu, ancora una volta, perfettamente politica. Il suo presidente Mengistu Haile Mariam, pensava che la siccità a nord del Paese gli sarebbe stata utile per indebolire i ribelli che combattevano nella zona; inoltre, le informazioni sulla fame dei suoi sudditi avrebbero danneggiato la sua immagine. E così non disse niente - e rifiutò gli aiuti che gli offrivano ONG e altre organizzazioni, dicendo che non erano necessari. Quando non ebbe più altra scelta che ammettere quello che stava succedendo, erano già morte un milione di persone. Ci furono campagne, festival, collette per l'Etiopia. Un nuovo personaggio incarnò quelle campagne: con Bob Geldof, Bono e il Live Aid, il rockettaro consapevole fu un'invenzione di quel periodo. La versione attuale dell'intellettuale voltairiano: un uomo che approfitta della fama ottenuta grazie a un'attività culturale per chiedere aiuto per alcuni sfortunati. E, in questo caso: un uomo che non si  propone di cambiare il sistema globale ma di sfruttare il suo accesso a quello stesso sistema, un uomo che frequenta i potenti
gentili di questo mondo per promuovere la sua causa - perché la sua causa non mette in questione quei poteri. E una delle manifestazioni più visibili di questa coscienza globale che si preoccupa per un po' di tempo di un problema che, per quel po' di tempo, gli sembra intollerabile - ma non mette in dubbio il resto della sua vita. E riesce a fare in modo che parlare della fame sia parlare della fame. E' quello che fanno Bill Gates, Warren Buffett, il WFP e tanti altri rappresentanti del business: inorridire di fronte a qualcosa di troppo brutale, troppo chiassoso - e che, d'altronde, potrebbe essere pericoloso, provocare reazioni. Allora garantiscono che chi non ha niente abbia da mangiare - e non rompa.
Di cosa parliamo quando parliamo di fame?)

    C'è una posizione che Oscar Wilde ha sintetizzato con la consueta arguzia nell'Anima dell'uomo sotto il socialismo, 1891:

    Sono circondati da una spaventosa miseria, da uno spaventoso squallore, da una fame spaventosa. E' inevitabile che debbano sentirsi profondamente scossi da tutto ciò. Le emozioni umane funzionano
in modo più rapido dell'intelligenza umana. Ed è molto più facile provare solidarietà con chi soffre che provare solidarietà con un'idea. Così, con intenzioni lodevoli benché sbagliate, gli uomini si fanno carico con grande serietà e sentimentalismo di rimediare ai mali che vedono. Però i loro rimedi non curano la malattia: la prolungano soltanto. Anzi: quei rimedi sono parte della malattia stessa.
    Per esempio, cercano di risolvere il problema della povertà aiutando i poveri a vivere. O, nel caso di certe scuole all'avanguardia, offrendo loro distrazione.
    Però questa non è una soluzione: è un aggravio della difficoltà. Lo scopo autentico, invece, deve essere quello d cercare di ricostruire la società su basi che rendano impossibile la povertà. E le virtù altruistiche hanno ostacolato il raggiungimento di questo scopo. Proprio come i peggiori schiavisti erano coloro che trattavano con gentilezza i loro schiavi, impedendo che gli orrori del sistema fossero percepiti da chi ne era vittima e compresi da chi ne era semplice spettatore, allo stesso modo, nell'Inghilterra di oggi, le persone che arrecano maggior danno sono quelle che tentano di fare del bene.

Martin Caparros...
La fame...
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sabato 10 settembre 2016

Martin Caparros...La fame...1 di 4


     Spendere nel lusso e nella sicurezza del lusso e nei consumi del lusso  rappresenta il capitalismo in tutto il suo splendore. O, a volte, il capitalismo in tutta la sua stupidità: gli Stati Uniti destinarono, nel 2012, 170 miliardi di dollari al "marketing diretto", ovvero: lettere di carta o di byte per cercare di vendere qualcosa. I loro esperti dicono che il tre per cento delle  lettere fisiche e lo 0,1 per cento di quelle digitali hanno portato a qualche acquisto. "Vale a dire che 164 miliardi di dollari sono serviti soltanto a disturbare le persone, tappezzare i pavimenti e intasare il filtro delle spam", commenta un altro articolo dell' "Econimist"; omettendo la sua utilità più evidente: dare lavoro inutile a migliaia di persone, riprodurre se stesso, arricchire pochi padroni.
   
     (Ci sono motivazioni a cui è difficile ribattere. Per esempio: nel mondo ci sono circa 800 milioni di cani e gatti domestici. Solo i nordamericani spendono ogni anno 30 miliardi di dollari per dare loro da mangiare. Dunque, come si fa a dire che hanno torto quelli che dicono che bisognerebbe proibire gli animali domestici fintanto che ci sono persone che non hanno da mangiare? Come è possibile giustificare il fatto che un cane mangi quello che non mangiano delle persone? Tra ragione e ragione a volte ci sono abissi).

    Warren Buffett, il quarto uomo più ricco del mondo, nel 2011 disse che nel suo paese c'era una lotta di classe:
     La lotta di classe esiste da vent'anni e la mia classe l'ha vinta. Siamo gli unici ad aver ricevuto riduzioni fiscali drammatiche. Nel 1992 i 400 cittadini statunitensi con il reddito più alto guadagnavano una media di 40 milioni di dollari l'anno. L'anno scorso il reddito medio di quei 400 più abbienti è stato di 227 milioni, cinque volte  di più. Durante questo periodo. le tasse di questi ultraricchi sono diminuite dal 29 al 21 per cento. Con queste tasse la mia classe ha vinto la guerra: è stata una carneficina.

    (Che il capitalismo è come gli aerei: se si ferma cade, deve continuare la sua interminabile fuga in avanti - e fa finta di non potere atterrare. Che il vero miracolo dell'aereo non è volare: è trasformare il movimento più veloce che sappiamo raggiungere in apparenza di immobilità, di quiete tra le nuvole, una quiete che rende ancora più inesplicabile e inverosimile che continuiamo a rimanere sospesi per aria. Il vero miracolo del capitalismo è trasformare l'immobilità per eccellenza nell'apparenza di un movimento furibondo).

Martin Caparros...
La fame...
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lunedì 5 settembre 2016

George Orwell...Omaggio alla Catalogna

                                                                                
George Orwell   " Omaggio alla Catalogna "

Immagino di non essere stato capace di esprimere che molto parzialmente ciò che quei mesi di Spagna significano per me. Ho registrato alcuni degli avvenimenti esterni, ma non posso registrare i sentimenti che essi m'hanno lasciato. E' tutto frammisto, confuso con scene, odori, rumori che non è possibile rendere con la penna: l'odore delle trincee, le aurore di montagne sfumanti via a distanze incommensurabili, il secco crepitar dei proiettili, il rombo e il lampo delle bombe; la luce limpida e fredda delle mattine di Barcellona, e i passi pesanti nel cortile della caserma, in dicembre, quando la gente ancora credeva nella rivoluzione;e le file davanti alle botteghe, e le bandiere rosse e nere e i volti dei miliziani spagnoli; soprattutto i volti dei miliziani, uomini che ho conosciuto al fronte e sono ora dispersi Dio sa dove, chi ucciso in combattimento, chi mutilato, chi in carcere, molti, spero, ancora sani e salvi. Buona fortuna a tutti loro; spero che vincano la loro guerra e mandino via di Spagna tutti gli stranieri, tedeschi, russi e italiani insieme. Questa guerra, nella quale ho contato così poco, mi ha lasciato ricordi in gran parte dolorosi, e tuttavia non vorrei non avervi partecipato. Quando s'abbia avuto uno scorcio d'un simile disastro - e,comunque finisca, la guerra di Spagna si rivelerà uno spaventevole disastro, indipendentemente dai massacri e dalle sofferenze fisiche - il risultato non è necessariamente disillusione e cinismo. Fatto curioso, tutta l'esperienza spagnola non ha diminuito per nulla la mia fiducia nella dignità e nella bontà degli esseri umani. E m'auguro che il racconto fattone non sia troppo ingannevole. Ritengo che su avvenimenti come questi nessuno sia o possa essere completamente veritiero. E' difficile essere certi di qualcosa, se non di quello che si è coi propri occhi, e consciamente o inconsciamente, ognuno scrive con una certa partigianeria. Qualora non l'avessi detto più sopra, lo dirò ora: attenzione  alla mia partigianeria, ai miei errori di fatto e alla distorsione inevitabilmente causata dal mio aver visto solo un angolo degli avvenimenti. E attenzione alle stesse identiche cose nel leggere qualsiasi altro libro su questo periodo della guerra di Spagna.

Pubblicato nel 1938

                     Guerra di Spagna - 80 anni