lunedì 21 dicembre 2015

Haiku d'inverno.....

                    Haiku d'inverno                       

 Takarai Kikaku  1661-1707

   Con la prima brina,
chissà cosa sogneranno,
        nelle barche?


Ozaki Hosai  1885-1926

Tutti stanno calpestando
     la neve della notte.


Nakamura Kusatao  1901-1983

   Notte di neve alta.
Voglio fare una sorpresa
          a un amico.


                    Haiku d'inverno                   


mercoledì 25 novembre 2015

25 Novembre 1915...Oggi...Cento anni fa

 
.
25 novembre 1915 
25 novembre 2015

Bisogna che ognuno di noi accetti con rassegnazione,
anzi con gioia, la sua parte di sacrificio.

discorso a Palermo di Vittorio Emanuele Orlando

ministro del governo Salandra.










              Oggi...Cento anni fa              

sabato 21 novembre 2015

21 Novembre 1915...Oggi...Cento anni fa




21 novembre 1915 
21 novembre 2015


Non potete immaginare l'orrore e lo scempio
della lotta corpo a corpo.
E' una cosa orribile, e mi auguro che non si
abbia più a verificare tra persone civili.

da una lettera del tenente Rocco Stassano

10 novembre - 2 dicembre 1915 Quarta battaglia dell'Isonzo






          Oggi...Cento anni fa          

lunedì 16 novembre 2015

Kabir Das...


Servo, dove mi cerchi?
Guarda, sono vicino a te.
Non sono nel tempio né nella moschea,
non sono nel Kaaba né nel Kailash.
Non nei riti né nelle cerimonie,
neanche nello Yoga, neppure nella rinuncia.
Se mi cercherai veramente, mi vedrai subito,
mi troverai in un attimo.
Kabir dice: "Santo! Dio è il respiro di tutto ciò che vive".


1398 - 1494?

martedì 3 novembre 2015

PASOLINI...Corriere della sera 13 novembre 1975...Hanno ammazzato PASOLINI


HANNO AMMAZZATO PASOLINI GLI OMOSESSUALI ACCUSANO.
Pasolini è soltanto un altro delle migliaia di omosessuali ricattati, aggrediti, "siucidati", massacrati. Non è stato ammazzato perché uomo di cultura, politico, poeta, ma perché omosessuale; l'omosessuale è visto debole,ricattabile; il delitto contro l'omosessuale trova ancora troppe giustificazioni e inconfessati consensi.
GLI OMOSESSUALI ACCUSANO.
Accusano la radio, la televisione, i giornali, colpevoli ancora una volta di contrabbandare come cronaca nera o come prodotto di una generica violenza dilagante un fatto che testimonia invece la specifica violenza esercitata quotidianamente contro chi, in quanto omosessuale, è emarginato, umiliato, oppresso.
ACCUSANO quegli intellettuali e politici che nelle loro dichiarazioni di rimpianto hanno obiettivamente falsificato la reale portata dell'assassinio di Pasolini; questo è anzitutto l'assassinio di un omosessuale, un delitto uguale a migliaia di altri in cui perdono la vita omosessuali sconosciuti che non fanno notizia e non suscitano clamore. Accusano tutti quei cittadini che facendosi complici del clima di ignoranza e di terrore che circonda la figura dell'omosessuale, sono colpevoli della morte di Pasolini quanto e più dello stesso omicida.
RICORDANO E RIMPIANGONO Pier Paolo Pasolini, in nome di milioni di anonimi omosessuali che ogni giorno sono costretti a una vita piena di paura e di violenza.

comunicato del Fuori (collettivo di Torino) apparso sul Corriere della Sera del 13 novembre 1975

lunedì 2 novembre 2015

Carlo Oliva........4 di 4...

All'angolo della via

  Li ho rivisti, da allora, solo due volte e sempre di sfuggita. Nel dicembre del '71 o del '72. non saprei dire con precisione, durante una manifestazione particolamente dura, in cui la polizia fece parecchie cariche e fermo' una quantità di persone, mi sembro' di vederli per un momento, all'angolo di una via centrale, a pochi isolati dalla piazza che ci era vietata e che cercavamo di raggiungere nonostante gli sbarramenti. Vestivano sempre di nero, in jeans di velluto e giacconi di cuoio da camionista, e osservavano con una specie di avida indifferenza la violenza di cui erano testimoni. Poi la scena si confuse nel fumo giallastro di una salva di lacrimogeni e dovetti allontanarmi con una certa fretta.
  L'altro giorno, in un negozio di articoli genuini e salutari che frequento da un po', mentre il commesso mi spiegava che no, loro non tenevano nè estratto nè compresse di aglio (me ne servo talvolta, per tenere la pressione sotto controllo) ne ho visto passare uno, oltre la porta di quello che suppongo fosse l'ufficio del proprietario. Era distintissimo, in un completo a tre pezzi di un fumo di Londra scurissimo, con una camicia immacolata e una sobria cravatta bordo'. Non guardò dalla mia parte.
  Una sola altra volta ho sentito parlare di episodi di vampirismo in città: fu verso la fine di quelli che chiamano gli anni di piombo, quando si disse che sui corpi di due sconosciuti trovati per strada nelle vicinanze di un "covo" in cui s'erano rinvenuti espolsivi e volantini, erano state individuate delle strane ferite, come morsi di denti appuntiti. Di tutta la storia furono accusati, in seguito alla rivelazione di un pentito, i membri di non so quale collettivo autonomo. Negarono tutto, come il povero Pompeo, tanti anni prima, ma il pentito, era caro al magistrato inquirente - non ricordo se fosse il dottor Spataro o chi altri - e al maxi-pro-
cesso bis (o ter) li condannarono tutti a trent'anni. Poi si sono dissociati e credo siano usciti da un pezzo (tranne l'avvocato difensore, che è ancora dentro per partecipazione con funzioni direttive). Ma sull'epi-
sodio non ho informazioni dirette.
  E' tutto qua. Ma in fondo, l'idea base dei romanzi ottocenteschi e dei film che ne sono derivati, quella per cui quelle lugubri creature dovrebbero trovarsi a miglior agio in una grande città che nella terra d'origine,  abbastanza logica. Non sarebbe la prima volta che la realtà imita la letteratura. E non è detto che qulacuno debba accorgersene: soprattutto se essi avessero imparato, dopo qualche tentativo iniziale, a cercare le proprie vittime nelle pieghe della società urbana, tra gli emarginati o tra coloro che per qualsiasi motivo devono evitare di farsi notare, così che difficilmente si noterà anche la loro scomparsa.
  In quasi trent'anni, in fondo, li ho visti solo tre volte, per caso. Qualcun altro può averli incontrati in altre occasioni: forse li ha persino riconosciuti. O forse, chi sa, è stata tutta una mia fantasia. Non credo che la cosa abbia una grande importanza: non via avrei neanche accennato, se non mi fossi reso conto che questa vicenda, nella sua incompiutezza e nella sua inanità. rappresenta la storia stessa della mia vita.

sabato 31 ottobre 2015

Carlo Oliva........3 di 4...

All'angolo della via

  Capii tutto, comunque, un paio di sere dopo. Ero ancora in zona, da solo: verso le undici, il minacciato rientro di certi genitori mi aveva costretto a lasciare in anticipo una casa in cui avevo sperato di trattenermi più a lungo. Comunque, era abbastanza tardi perché il locale di via Frapolli fosse in piena attività e avevo ceduto alla tentazione di farci una scappata. Tre ore dopo, ero ancora lì. I canterini erano in gran forma, e in un raro stato d’animo tra il melanconico e il nazional-popolare. Avevano cantato Porta Romana in versione carceraria e La povera Rosetta e persino Varda Giulay, che era, anche allora, un pezzo di repertorio assai raro. A un certo punto, ridacchiando tra loro, quasi con imbarazzo, avevano intonato, a un ritmo volutamente troppo lento, una canzone in voga in quegli anni, Il cielo in una stanza, esagerandone gli effetti patetici in una specie di affettuosa caricatura.
  Io sedevo da un lato, e, insieme alla musica, ascoltavo oziosamente le chiacchiere degli altri avventori. E’ sempre stato un mio difetto: quando vicino a me è in corso una qualche conversazione, anche a voce non particolarmente alta, tendo indiscreto l’orecchio. Due o tre uomini, al banco, parlavano di cani. A quanto mi pareva di capire, il cane da caccia di uno era sparito dal giardinetto dove dormiva di solito, e, per combinazione, la moglie di un altro non riusciva a darsi pace da quando non trovava più una cagnetta cui teneva molto. Anzi, la signora sapeva di altre sparizioni di cani ai danni di famiglie del vicinato. Sembrava una specie di epidemia. Stavo riflettendo sulla stranezza del fenomeno, quando mi resi conto che anche al tavolino accanto al mio stavano parlando di cani, in una lingua straniera. Erano i tipi in nero di due giorni prima: sedevano tranquilli davanti a tre bicchierini pieni a metà di vino rosso (porto, probabilmente, o qualcosa del genere) e conversavano fra loro con l’indifferenza di chi sa che difficilmente gli estranei capiranno qualcosa. Parlavano ungherese, uno strano ungherese dall’accento esotico, ma pronunciato con tanta esattezza parola per parola che persino io potevo capirlo senza troppe difficoltà. In realtà, mi resi conto, li stavo ascoltando inconsciamente da un po’. Uno, il più autorevole, quello seduto nell’angolo, aveva detto con voce irritata:” Insomma, tre tentativi falliti in meno di una settimana. Chi credi d’essere: un attore del cinema? Non possiamo farci scoprire, lo sai!” E un altro aveva risposto imbarazzato qualcosa come:” Scusatemi, Signore. Non ne potevo più di cani…” Era seguito un momento di silenzio. Poi, il primo aveva risposto in tono riflessivo:” Sì, tutti questi cani hanno disgustato anche me. Il sangue somiglia, ma …Dovremmo organizzarci, in qualche modo”, e il terzo a questo punto, aveva fatto un cenno con la mano, come a invitare gli altri ad abbassare la voce. Tacquero e si guardarono intorno. Quello nell’angolo mi diede una lunga occhiata, come chiedendosi se avevo capito qualcosa. Poi disse che s’era fatto tardi, si alzò, e si diresse con i suoi compagni alla porta.
Prima di uscire si voltò un'altra volta verso di me.
  Beh, questo è tutto. Capiì subito che non avrei mai potuto avere certezza di quanto avevo supposto. Potevano essere tre immigrati stabiliti nel quartiere chissà da quanto, dal ’56, forse, e la loro conversazione poteva riferirsi a chissà cosa. Forse erano semplicemente ladri di cani (se esiste una tale categoria criminale). Ma quel che è certo è che quella notte non mi avventurai ad uscire in strada prima dell’alba, che per fortuna – eravamo in giugno e nessuno parlava ancora di ora legale – non tardò molto.
Allora capitava molto più spesso di oggi di far tardi, anche in un locale modesto come quello.
Che devo dire? Da allora, quel quartiere, che m’era tanto piaciuto, per me non fu più lo stesso. Poco per volta, smisi di frequentarlo. Gli amici mi presero in giro per anni, quando presi l’abitudine di portare una piccola croce d’argento appuntata al bavero della giacca, nonostante le mie tendenze ideologiche. Poi ci si abituarono, come a tante altre bizzarie.

...continua...



giovedì 29 ottobre 2015

Carlo Oliva.......2 di 4...

All'angolo della via

  Di notte la zona era praticamente deserta. Di ritrovi pubblici, naturalmente, nemmeno si parlava, oltre a qualche bar-latteria, l'unico di cui avessi notizia era appunto in via Frapolli (o, chissà, nei dintorni immediati): era quello che inseguito si sarebbe chiamato un locale, ma allora era soltanto qualcosa d'indistinto tra un bar e un'osteria. Sul tardi, vi ci si faceva musica: un gruppo di clienti fissi cantava i motivi di un repertorio composito, accompagnandosi con le chitarre, un contrabbasso a una corda fatto in casa e due cucchiai per battere il ritmo. Non era un posto famoso come altri in città, ma era sempre piacevole sedersi da un canto e ascoltare quei buontemponi che si cimentavano con gli acuti della  Paloma, azzardando la versione corale di una romanza del Tosti e, infine, mettevano a confronto le strane caratteristiche di una ragazza di Villafranca e di una di Bordighera.
  Fu appunto in via Frapolli, una sera di quella prima estate, che li vidi per la prima volta. avevo accompagnato a casa una delle mie amiche (era piccola: non sempre otteneva dai familiari la libera uscita oltre le dieci) e andavo verso la fermata della filovia. Faceva abbastanza caldo: dalle molte finestre aperte rimbombavano i suoni di un programma televisivo. Allora, naturalmente, non c'erano reti private e quasi tutti seguivano il primo programma. Le facciate delle case erano una specie di parete sonora, dalla quale fluivano le voci e le note, che si mescolavano in un gioco continuo di echi e ripetizioni. Quella sera davano un varietà musicale, tra i cui ospiti, a quanto pareva, c'era una cantante lirica: la si sentiva per ogni dove cantare l'habanera della Carmen. Il ritmo cadenzato della celebre aria ( l'Amour, l'Amour...), con quei giambi ripetuti in cui l'anapesto si inserisce atteso e insieme improvviso, dava una strana sensazione d'irrealtà. Era come se alla vita di tutti i giorni fosse stata aggiunta bizzarramente una colonna sonora.
  Avevo appena svoltato l'angolo della via ( l'Amour est un ) quando sentii alle mie spalle ( fils de Boheme ) un grido strozzato. Mi volsi ( il n'a jamais connu des lois )  e mi affrettai sui miei passi. In fondo, praticamente in piazza Adigrat, alcuni passanti (si tu ne m'aimes ) erano chini su una donna mezzo sdraiata per terra, evidentemente in preda a una forte emozione. Non c'era bisogno ( pas, je t'aime )  che mi unissi a loro e ripresi la via verso il viale. Ma, forse perchè da quelle parti ( si je t'aime ) avevo preso il vezzo di guardarmi in giro con una certa cautela, colsi con la coda dell'occhio ( oh, si, si je t'aime) un movimento all'angolo di via Caronti.
  Erano in tre e si muovevano a passo normale, anche se si capiva che poco prima dovevano essersi affrettati. Non troppo alti, tarchiati, vestiti di nero (pantaloni attillati, maglioncini da marinaio a collo alto, un lungo e inconguo impermeabile di nailon ) in contrasto con il pronunciato pallore del loro volto. Si fermarono presso un portone e uno fece il gesto di estrarre la chiave. Prends garde à toi.
  Beh, confesso che non capii assolutamente chi fossero. Non me ne preoccupai nemmeno. I giornali parlavano da un po' di un maniaco attivo in zona (Pompeo non era stato ancora arrestato ), ed era logico supporre che la donna che aveva gridato fosse una sua vittima. La tenuta dei tre era un po' lugubre, ma non più di tanto e nessuno di loro rassomigliava minimamente a Christopher Lee. Con il senno di poi, certo, è facile capire che non c'era motivo perchè dovessero somigliargli. Ma i miti iconici, come tutti gli altri, son duri a morire.
  A guardare con attenzione, forse, si sarebbe potuto ravvisare nei loro tratti una qualche affinità con quelli di Bela Lugosi, per lo meno un'aristocratica scintilla di albagia magiara, ma, allora, chi fosse Bela Lugosi proprio non lo sapevo. Ci pascevamo tutti, più o meno, dei remake della Hammer, ma non conoscevamo i classici Universal degli anni '30: la televisione non li trasmetteva di certo e i cineclub, cui pure ero assiduo, erano soprattutto prodighi di film cecoslovacchi sulla figura di tormentati dirigenti di fabbrica, che pur di raggiungere gli obiettivi del piano quinquennale proponevano agli operai un sistema di incentivi materiali e finivano sotto processo per aver negato, sia pure in buona fede. l'etica socialista del lavoro. Io ero stato, in vacanza, un paio di volte in Ungheria e una volta in Transilvania: mi ero trovato bene e, in seguito, m'ero persino azzardato a seguire il lettorato d'ungherese all'Università, ma allora non mi passò affatto per la mente di collegare a quei paesi i tre cupi individui.

...continua...

mercoledì 28 ottobre 2015

Carlo Oliva........1 di 4...

All'angolo della via

  La vicenda dei presunti vampiri di viale Argonne è stata riferita a suo tempo dalla stampa cittadina, ma in modo,diciamo pure, insoddisfacente. Era inevitabile: verso la metà degli anni’60, la cronaca era considerata un genere giornalistico in cui una certa routine era, non che ammessa, desiderata, specie nei mesi estivi. La storia di uno o più sconosciuti che, all’imbrunire, avevano aggredito, nel corso di poche settimane,due o tre signore che rincasavano sole, cercando goffamente i morderle sul collo, per dileguarsi alla loro decisa reazione, era una tipica storia da cronaca estiva, nel senso che non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere pubblicata in un ‘altra stagione. Come tale, infatti, era stata trattata: un po’ di blanda ironia, un minimo di colore, la menzione del successo, di pochi anni prima, dei film con Christopher Lee e il suggerimento che protagonisti degli strani episodi fossero degli psicopatici esaltati dalla visione dei medesimi. Di fatto, entro il mese la pubblica sicurezza mise le mani, dopo le opportune indagini, su un balordo locale, tale Pompeo (la stampa non riferì il cognome), che al titolo di psicopatico aveva ampiamente diritto, e gli contestò tutte le aggressioni. Lui ammise di frequentare, a volte, il vicino cinema Susa, e non negò di apprezzare il genere horror, ma respinse con ostinazione ogni addebito vampiresco. Non gli cedettero, e lo spedirono senza indugi al neurodeliri. Ne uscì poche mesi dopo. Poi, a quanto ne so, di lui si persero le tracce. Vuole il caso che allora, pur abitando in tutt’altro quartiere, frequentasse con una certa regolarità la zona di viale  Argonne. Avevo, di fatto, una fidanzata in via Amadeo; anzi, per una concatenazione d’eventi estranea (o quasi) alla mia volontà, ne avevo un’altra in via Sismondi, e mi capitava spesso di accompagnare l’una o l’altra a passeggio sotto i platani del viale, in un paesaggio urbano piacevolissimo in quelle tarde sere di giugno. Una volta mentre ero con l’una, mi capitò persino di imbattermi nell’altra, che si intratteneva su una panchina con un amico comune, il che, a rigore, non avrebbe dovuto fare (perlomeno, avrebbe preferito farlo senza che lo si risapesse, perché l’amico era legato sentimentalmente a una cugina di lei, con cui entrambe le ragazze erano in una certa intimità) e la situazione s’era rivelata imbarazzantissima. Con l’eccezione della mia accompagnatrice, tutti noi altri tre eravamo stati sorpresi in qualche modo in fallo, e anche lei era turbata, pensando alla cugina dell’amica e chiedendosi se fosse o meno il caso di metterla al corrente dell’infedeltà del partner. Lo avrebbe fatto, in definitiva, provocando qualche passeggera burrasca sentimentale.


  Erano sciocchezze, ma l’età e la cultura corrente ci rendevano sensibili a questi problemi. I cantanti di successo ne trattavano in versi e in musica e anche i romanzieri importanti, pur elaborando situazioni più osé della nostra, vi erano affezionati. L’episodio, in pratica, non ebbe seguito, ma valse a rendermi molto cauto e attento ogni volta che percorrevo, solo o accompagnato, quel tratto di strada.


  Ora, come tutti sanno, per raggiungere viale Argonne da via Sismondi, il miglior partito da prendere è quello di imboccare via Frapolli e piegare per via Sighele, a meno che da via Frapolli non si preferisca sboccare direttamente in largo Porto di classe, da dove, per Piazza Fusina e via Aselli, si può proseguire comodo mante per via Amadeo. Erano, allora, vie tranquille e piacevoli, fiancheggiate da edifici dignitosi e vecchiotti, con pochissimo traffico e una certa polverosa tranquillità: a me piacevano moltissimo. L’ora migliore, naturalmente, era quella del tramonto estivo, quando l’occhio si perdeva da un lato lungo la prospettiva, vagamente parigina, degli alberi che correvano verso piazzale Susa (ma alle ragazze dicevo che ricordava un po’ l’ensache di Barcellona: faceva più effetto) e, dall’altro, si fermava con soddisfazione sulla mole torreggiante della chiesa dei santi Nereo e Achilleo. I pregi di quell’edificio neo-romanico non sono un gran che, ma a osservarlo nel giusto stato d’animo faceva il suo effetto, specie se attorno al torrione circolare si librava il canonico volo di rondini.

...continua...

venerdì 16 ottobre 2015

E. Sottsass......Guerra....A. Gormley



In quella guerra stupida dove sono stato, non ho trovato niente di divertente, niente di eroico, niente di istruttivo. Era una totale perdita di tempo, soprattutto per la Patria della gente.
Il mio corpo giovane, le mie gambe, i miei piedi, il mio sesso pieno di sangue, la mia voce, i miei capelli sel-
vaggi, il mio cervello furioso e curioso erano usati per produrre coglionate, per riempire di orgoglio stronzo
qualcuno al quale normalmente non avrei concesso di pulirmi le scarpe.
Durante questi anni inutili e perduti andavo cercando tra la gente qualcuno che mi consolasse: ragazze, amiche, amanti o nemiche, profughi, ragazzi in fuga, traditori silenziosi, prigionieri, compagni di qualche ora,
altri nemici, anche guerrieri senza colpa.
I paesaggi, le montagne, i fiumi, i boschi, i prati, erano incantati; le albe, i tramonti, le notti erano di una totale
purezza cosmica; anche i villaggi, anche le chiese, anche i cimiteri stavano affondati nei loro interminabili silenzi. Noi chiedevamo ben poco. Chiedevamo che finisse il crepitio metafisico delle mitragliatrici, chiedeva-
mo che l'eco dei cannoni non scendesse giù dal cielo, che le case non fossero distrutte, che tutte le finestre
continuassero a splendere con i loro vetri.
Ma c'era ben poco da chiedere, nessuno avrebbe mai ascoltato.
Noi che dovevamo fare la guerra, chiedevamo soltanto di poter stare seduti a guardare montagne, fiumi, boschi, ragazze, cimiteri, senza dover sempre avere compassione per qualcuno, senza dover sempre aver
vergogna di noi stessi.


 Anthony Gormley

martedì 6 ottobre 2015

Haiku d'autunno......

.....................Haiku........d'autunno.......................


Yosa Buson 1716 1783

Fa perdere le tracce:
così viaggia un Maestro!
Tardo autunno.



Haik......u...........d'....au........t......u.n....n..........o...


Kobayashi Issa 1763 1827

Notte d’autunno.
Il viaggiatore
Lavora d’ago.


.....H........a...i....ku.......d'.....a....u.t......unno.........


Ogiwara Seisensui 1884 1976

Le carpe si radunano.
In silenzio, l’autunno avanza
in ogni direzione.


...H...a.i..........k..u.....d'..aut.....un........n......o.......

Sugita Hisajo 1890 1946

Profumo di crisantemi.
Arriva una piccola folla.
E’ un giorno felice.



venerdì 18 settembre 2015

Gregory Bateson......




Eccolo dunque in parole
preciso
e se leggi fra le righe
non troverai nulla
perché questa è la disciplina che chiedo
né più né meno.
Non il mondo com'è
né come dovrebbe essere...
Solo la precisione
lo scheletro della verità
non cerco l'emozione
non insinuo implicazioni
non evoco i fantasmi
di vecchie credenze obliate.
Queste son cose da predicatori
da ipnotisti, terapeuti e missionari.
Essi verranno dopo di me
e useranno quel pò che ho detto
per tendere altre trappole
a quanti non sanno sopportare
il solitario
scheletro della verità.

venerdì 28 agosto 2015

giovedì 20 agosto 2015

Amiri Baraka............Abdul Rahman Haroun


Cammini nel mare, le conchiglie
prese nei capelli. Ruvide
onde ti stracciano la lingua.
Chiudere gli occhi. E’ così
semplice. Su onde

Amiri Baraka (LeRoi Jones)







domenica 9 agosto 2015

Ingeborg Bachmann........


Tutti i giorni


La guerra non viene più dichiarata,
ma proseguita. L'inaudito
è divenuto quotidiano. L'eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
è trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi è la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.

Viene conferita
quando non accade più nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico è divenuto invisibile
e l'ombra di eterno riarmo
ricopre il cielo.

Viene conferita
per la diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all'amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l'inosservanza
di tutti gli ordini.


Anthony Gormley

mercoledì 15 luglio 2015

Vittorio Sereni.......[ 17 poesie sulla guerra ]

Quei bambini che giocano



un giorno perdoneranno
se presto ci togliamo di mezzo.
Perdoneranno. Un giorno.
Ma la distorsione del tempo
il corso della vita deviato su false piste
l’emoraggia dei giorni
dal varco del corrotto intendimento:
questo no, non lo perdoneranno.
Non si perdona a una donna un amore bugiardo,
l’ameno paesaggio d’acque e foglie
che si squarcia svelando
radici putrefatte, melma nera.
“D’amore non esistono peccati,
s’infuriava un poeta ai tardi anni,
esistono soltanto peccati contro l’amore”.
E questi no, non li perdoneranno.

Vittorio Sereni 1913 – 1983
scritta negli anni ’50, durante la guerra Sereni aveva
combattuto nei Balcani, poi prigioniero in Algeria



Monumento ai caduti Rimini

domenica 12 luglio 2015

Ghiannis Ritsos.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Lettera a Joliot-Curie



Joliot,
era amaro il pane che assaggiammo
era amaro far giorno senza che t’importasse lavarti
e guardare il sole
era amaro far sera e non conoscerti una stella,
era amaro far notte senza un verso per far la croce
sul tuo guanciale
era amaro volerti uccidere prima di finire la tua canzone
era amaro che fosse così bella la vita e tu dover morire
perché ami la libertà e la pace.

* * *

Abbiamo disimparato molte cose, Joliot,
disimparato come guizza il pesce della serenità
nei bassi fondali del silenzio
come s’intrecciano azzurre le vene
nelle braccia della primavera – dimenticato,
imparando certe cose semplici
molto semplici
molto sicure
che l’universo incomincia dal pane
che non è giusto che altri guadagnino il pane
e altri lo mangino
come non è giusto fabbricare cannoni
mentre mancano aratri – semplici cose,
può dirle anche un ragazzo in un armonia a bocca
e un buon soldato che ha sognato sua madre
può scuotersi dal sonno e dirle in una tomba
e meglio ancora lo sanno i nostri morti –
il loro silenzio le grida ogni notte – semplici cose
- non siamo saggi, Joliot
diciamo cose semplici
molto semplici
che vale vivere e morire
per la libertà e la pace.

* * *

Joliot,
vorrei ancora confessarti
che le sere quando comincia il cielo a ravvisarci
e l’Orsa Maggiore sta fuori nel cortile del silenzio
rimaniamo per ore col dito dimenticato nell’isola del dolore
a ragionare del mondo e dei suoi tormenti
di un libro smesso di leggere a metà
di una canzone interrotta a mezzo
di una canzone mai scritta
di un pettine rimesto solo nella casa vuota
di una macchinetta da barba e del sapone sul lavandino
e di colui che non ha più bisogno di radersi –
Ah, così teneramente a ragionare del mondo
e ad adirarci tante e poi tante volte, Joliot,
che non possiamo più essere adirati
che non possiamo più odiare chi ci ha fatto del male
- vedi, Joliot, l’amore vale sempre più dell’odio –
e come ha fame la nostra mano di stringere una mano –
di stringere anche la mano del nemico
non perché siamo stanchi, Joliot,
non perché han perso i calli le nostre mani
ma perché amiamo, come te,
la libertà e la pace.

Ghiannis Ritsos 1909 - 1990
stralci di una più vasta opera scritta nel 1950
nel campo di reclusione di Ais-Stratis




Monumento ai caduti Villafranca di Verona

giovedì 9 luglio 2015

Velemir Chlebnikov.......[ 17 poesie sulla guerra ]

Il rifiuto



E’ per me di gran lunga più gradevole
osservare le stelle,
che sottoscrivere una sentenza di morte.
E’ per me di gran lunga più gradevole
ascoltare le voci dei fiori,
che bisbigliano: “è lui!”,
quando passo per il giardino,
che vedere i fucili,
che uccidono quelli che vogliono
uccidere me.
Ecco perché non sarò mai
e poi mai
un uomo di governo!

Velemir Chlebnikov 1885 - 1922



 Monumento ai caduti Santhià

lunedì 6 luglio 2015

Iijima Koichi.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Il cielo altrui




Sono tornati agli uccelli a
beccare nelle spaccature nere
e asciutte della terra estiva.
Saltellano sopra il tetto
nuovo per loro sconosciuto.
Sento da come si muovono che
sono stupiti per la grande novità.
Il cielo si tiene la testa fra
le mani, come se avesse ingoiato
delle pietre. E’ in pena.
Il sangue che ormai non scorre
più per le nostre strade in
guerra, adesso circola dentro
il suo corpo vuoto, con furia,
come se non fosse più nostro.


Iijima Koichi 1930 - 2013
scritta negli anni del dopoguerra




 Monumento ai caduti Fidenza

venerdì 3 luglio 2015

Ts'ao Sung.......[ 17 poesie sulla guerra ]

Protesta nell’anno sesto di Chien Fu




Le colline e i ruscelli della pianura
ne avete fatto il vostro campo di battaglia
La gente che vive qui come, secondo voi,
potrà fornirsi di “legna da ardere e fieno”?
Prego, risparmiatemi le vostre chiacchiere
di nomine e titoli.
La reputazione di un solo generale
si chiama: diecimila cadaveri.

Ts’ao Sung 870 - 920


Monumento ai caduti Brindisi

martedì 30 giugno 2015

Laure.......[ 17 poesie sulla guerra ]

Sponde di città



Sponde di città
terreni incolti
prati bagnati di cielo

Tutti i fiumi e tutti i vini
mi girano nella testa
Manzanarre e Mockvà
dov’era mai?

La terra si dischiude.
Ci sono tutti,
quelli che per miracolo
spartivano con gioia
e l’odio e la gioia.

Un fiume di sangue ha sommerso quei sorrisi di bimbi.
La mitraglia ha spento quei canti di adolescenti.
Fede speranza caritate
“ all’inferno sono andate “.

Al di là delle atroci sconfitte
delle vittorie rovesciate
delle libertà mutilate
la guerra urla a morte.

Ci sono tutti
giù, nell’abisso
e ridono dei fratelli
i vivi
questi apostoli di sventura
che sanno solo piangere nelle polvere
gemere sul ciglio di una tomba.

Le mascelle di scheletro
scrocchiano e si spalancano
in un unico grande riso
sardonico
quando il lamento di quelle ombre in carne
arriva fino a loro.

Esseri informi, ibridi
sarebbe dunque questa la vostra pena
che ci sia un posto per tutti sotto il sole
e sopravvivere a ciò che unico appariva
degno di essere vissuto?

Sarete sempre fuori gioco:
scendendo a patti con voi stessi
non vi abbandonerete mai, abbagliati
occhi radiosi, bocche riarse, ventre di fuoco
al carnaio benefico.

Avete troppo da fare nei cimiteri della storia
avete troppo da pensare
nella vostra povera testa pesante
troppo da dire con le vostre labbra amare
aperte su tutte le incoerenze.

Avete anche
troppi tesori da sprecare
in quelle mani eternamente vuote.
Esseri informi… ibridi
voi non sapete ancora
che solo l’attimo vuol essere vissuto
preferite allungare i miracoli
che non dovete che a noi.
Quanto vi resta da esistere
scorre come la sabbia tra le dita
e voi lasciate fare
immobili
oppure affrettate la rovina
al ritmo scosso di pupazzi meccanici
oppure insistete fortemente
con tutto il peso di una ragione lungimirante
con tutto il peso di una saggezza pertinente.

Sì le vostre lacrime chiamano il riso.
Se non sapete fin d’ora
“ guidare il carro e l’aratro sopra le ossa
dei morti “
è solo perché fra poco
il nostro inferno coprirà l’universo:
fuoco dal cielo
schianti dalla terra
lava bollente
gemme preziose
vi colpiranno al cuore
in un caos sonoro, assurdo e scintillante.


 Laure pseudonimo di Colette Peignot 1903 – 1938
Poema scritto dopo un viaggio in Catalogna e
a Barcellona nell’ottobre del 1936



 Monumento ai caduti Lecco

sabato 27 giugno 2015

Arthur Rimbaud......[ 17 poesie sulla guerra ]

Il male




Mentre i rossi sputi dell’assidua mitraglia
rifischiano nell’infinito azzurro, e accanto
al Re che irride, scarlatti o verdi, in battaglia
i reggimenti al fuoco cadono di schianto;

mentre ne stritola un’orrenda paranoia
centomila ammucchiandoli in fumanti resti,
- Poveri morti, nell’erba estiva e la gioia
tua, o Natura, che in santità li facesti! –

- Vi è un Dio che ride alle tovaglie damascate
degli altari, all’incenso, all’oro dell’enorme
calice, e cullato dagli osanna s’addorme

e si ridesta quando le madri, angosciate
e lacrimanti nel vecchio nero berretto,
gli danno un soldone legato al fazzoletto.

Arthur Rimbaud 1854 - 1891



Monumento ai caduti Orvieto

mercoledì 24 giugno 2015

Giuseppe Ungaretti.......[ 17 poesie sulla guerra ]

Veglia

Cima Quattro il 23 dicembre 1915




Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.


Giuseppe Ungaretti 1888 – 1970
Volontario nella prima guerra mondiale




Monumento ai caduti Faenza

domenica 21 giugno 2015

Vladimir Majakovskij.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Dedica a Lilia



8 ottobre
1915
Le date
del tempo,
che ha visto il rito
della mia consacrazione a soldato.

“Ascoltate!
Ognuno,
chi è inutile persino,
deve vivere;
ma non si può,
non si può
nelle tombe delle trincee e dei ripari
seppellirlo vivo:
assassini!”

Non ascoltano.
Un sottufficiale di cento chili premette come un torchio.
Da un orecchio all’altro mi tosarono con cura.
Come bersaglio,
sulla fronte
attaccarono la croce
di recluta.

Anch’io adesso dovrò andare a ovest!
Continuerò a camminare laggiù,
finchè i tuoi occhi non mi piangeranno
sotto la rubrica
dei “morti”,
composto in corpo sei.

Vladimir Majakovskij 1894 – 1930
Stralcio dal poema “Guerra e universo” stampato nel 1917




 Monumento ai caduti Stresa

venerdì 19 giugno 2015

Isacco Newton........



 Gli uomini costruiscono troppi muri e mai abbastanza ponti.




Conzett - Bronzini - Gartmann

giovedì 18 giugno 2015

Robert Frost.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Per loro, non guerre sante





Gli stati abbastanza forti per fare il bene
son pochi: pare che siano solo tre.
Il bene è una cosa che loro, i grandi, possono fare,
ma i piccoli stati dappoco appena possono esistere.
Ed esser buoni per questi significa stare
a guardare una guerra in nominale alleanza
e, quando sia finita, la spartizione dei beni
del mondo tra i vincitori giganti.
Iddio, hai tu preso atto di questo?
Qual è la tua divina posizione al riguardo?
Certe nazioni come Cuba o la Svizzera
mai potranno sperare in una Missione Globale.
Per loro, non Guerre Sante: il massimo
che possano mai darci è un fastidioso bisticcio.


Robert  Frost 1874 - 1963



Monumento ai caduti - Matera

lunedì 15 giugno 2015

Miklòs Radnòti.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Cartoline Postali




Rotola il tuono di grossi cannoni feroci in Bulgaria,
tonfano sulla cresta delle montagne, esitano, precipitano;
uomini e bestie, carri e pensieri si ammassano,
e la strada si impenna annitrendo e fuggono le criniere dei cieli.
E tu sei salda in me, in questa mobile confusione,
nel fondo della mia coscienza, perennemente immota
e silenziosa fai luce come un angelo che si meraviglia dei massacri
o l’insetto che si seppellisce nell’incavo di un albero tarlato.


Miklòs Radnòti 1909 – 1944
deportato per motivi politici e razziali
questa poesia ed altre furono ritrovate nel 1946



 Monumento ai caduti Salsomaggiore Terme - Parma

venerdì 12 giugno 2015

Marianne Moore.....[ 17 poesie sulla guerra ]

Al progresso militare





Usi la tua mente
come una macina
per macinare
strame.
La lucidi, e col tuo distorto
senso dell’humour, ridi

del tuo torso,
prostrato
là dove il corvo s’abbatte
sulle anime sgomente
che il suo dio gli ha assegnate,

e chiama, e sbatte le ali
fino a quando il tumulto
non fa risuscitare
altre riserve negre.
Guerra a poco prezzo.

Gridano eccitati
e si cercano il premio
che gli spetta, finchè
il cielo del tramonto
s’insanguina.


Marianne Moore 1887 - 1972



 Monumento ai caduti Cascina - Pisa

martedì 9 giugno 2015

Friedrich Holderlin.....[ 17 poesie sulla guerra ]

La pace




Come se le antiche acque
in nuova furia
Più orrenda trasmutate, ancora
Venissero a purificare, perché necessario,

Così ribollì e crebbe in flutti di anni
Senza posa e inondò l’angosciato paese
L’inaudita battaglia, chè vasti coprivano
Squallore e tenebra la testa degli uomini.

Forze d’eroi volavano alte come onde
E poi sparivano; tu, vendicatrice, ai tuoi esecutori,
Scorciavi rapida il lavoro
E riportavi a casa, in pace, i contendenti.

O tu che inesorabile e mai vinta
A suo tempo il tracotante colpisci,
Così che fino nell’ultima generazione
La sua misera schiatta trema al colpo,

Tu che in mistero tieni pungolo e redini
Per frenare ed incitare, o Nemesi,
Punisci ancora i morti? Essi dormivano
Sotto i laureti d’Italia,

Imperturbati gli antichi conquistatori.
E non perdoni nemmeno agli ozieggianti pastori?
Non hanno ancora abbastanza
Il florido sonno espiato i popoli?

Chi cominciò? Chi portò la maledizione?
Non è da oggi né da ieri, e quelli che primi
Passarono la misura, i nostri padri,
Non lo sapevano, il loro spirito li spinse.

Da troppo, da troppo amano i mortali
Di calpestarsi e contendere per il dominio,
Ciascuno teme il vicino, e non ha
Benedizione l’uomo sul proprio suolo.

Inquieti soffiano a vortice ancora come nel Caos,
Nella razza in fermento i desideri,
E selvaggia e desolata e gelida
Per le ansie, la vita dei miseri è sempre.

Ma tu, tranquilla, vai per sicura strada,
O madre terra nella luce. La tua primavera fiorisce,
Melodiosamente si alternano in te le stagioni
In germoglio, o tu ricca di vita!

Con la tua gloria tranquilla, o temperata!
E anche con le tue leggi non scritte,
Con il tuo amore vieni a ridonarci
Un permanere nella vita, un cuore.

O innocente! Sono più saggi i pargoli,
Quasi, che noi adulti: la discordia
Non turba ai buoni l’animo e chiaro
Di gioia loro si conserva l’occhio.

E come fra gli altri astanti, con serio sorriso
L’arbitro guarda la gara dei giovinetti
Dove infiammati i contendenti e i carri
S’incalzano tra nugoli di polvere,

Così sui nostri capi Elio sorride,
E il gioioso dio non è mai solo
Perché eterna dimora hanno dell’Etere
Le stelle in fiore, santamente libere.


Friedrich Holderlin 1770 – 1843


Monumento ai caduti Binetto - Bari