sabato 31 ottobre 2015

Carlo Oliva........3 di 4...

All'angolo della via

  Capii tutto, comunque, un paio di sere dopo. Ero ancora in zona, da solo: verso le undici, il minacciato rientro di certi genitori mi aveva costretto a lasciare in anticipo una casa in cui avevo sperato di trattenermi più a lungo. Comunque, era abbastanza tardi perché il locale di via Frapolli fosse in piena attività e avevo ceduto alla tentazione di farci una scappata. Tre ore dopo, ero ancora lì. I canterini erano in gran forma, e in un raro stato d’animo tra il melanconico e il nazional-popolare. Avevano cantato Porta Romana in versione carceraria e La povera Rosetta e persino Varda Giulay, che era, anche allora, un pezzo di repertorio assai raro. A un certo punto, ridacchiando tra loro, quasi con imbarazzo, avevano intonato, a un ritmo volutamente troppo lento, una canzone in voga in quegli anni, Il cielo in una stanza, esagerandone gli effetti patetici in una specie di affettuosa caricatura.
  Io sedevo da un lato, e, insieme alla musica, ascoltavo oziosamente le chiacchiere degli altri avventori. E’ sempre stato un mio difetto: quando vicino a me è in corso una qualche conversazione, anche a voce non particolarmente alta, tendo indiscreto l’orecchio. Due o tre uomini, al banco, parlavano di cani. A quanto mi pareva di capire, il cane da caccia di uno era sparito dal giardinetto dove dormiva di solito, e, per combinazione, la moglie di un altro non riusciva a darsi pace da quando non trovava più una cagnetta cui teneva molto. Anzi, la signora sapeva di altre sparizioni di cani ai danni di famiglie del vicinato. Sembrava una specie di epidemia. Stavo riflettendo sulla stranezza del fenomeno, quando mi resi conto che anche al tavolino accanto al mio stavano parlando di cani, in una lingua straniera. Erano i tipi in nero di due giorni prima: sedevano tranquilli davanti a tre bicchierini pieni a metà di vino rosso (porto, probabilmente, o qualcosa del genere) e conversavano fra loro con l’indifferenza di chi sa che difficilmente gli estranei capiranno qualcosa. Parlavano ungherese, uno strano ungherese dall’accento esotico, ma pronunciato con tanta esattezza parola per parola che persino io potevo capirlo senza troppe difficoltà. In realtà, mi resi conto, li stavo ascoltando inconsciamente da un po’. Uno, il più autorevole, quello seduto nell’angolo, aveva detto con voce irritata:” Insomma, tre tentativi falliti in meno di una settimana. Chi credi d’essere: un attore del cinema? Non possiamo farci scoprire, lo sai!” E un altro aveva risposto imbarazzato qualcosa come:” Scusatemi, Signore. Non ne potevo più di cani…” Era seguito un momento di silenzio. Poi, il primo aveva risposto in tono riflessivo:” Sì, tutti questi cani hanno disgustato anche me. Il sangue somiglia, ma …Dovremmo organizzarci, in qualche modo”, e il terzo a questo punto, aveva fatto un cenno con la mano, come a invitare gli altri ad abbassare la voce. Tacquero e si guardarono intorno. Quello nell’angolo mi diede una lunga occhiata, come chiedendosi se avevo capito qualcosa. Poi disse che s’era fatto tardi, si alzò, e si diresse con i suoi compagni alla porta.
Prima di uscire si voltò un'altra volta verso di me.
  Beh, questo è tutto. Capiì subito che non avrei mai potuto avere certezza di quanto avevo supposto. Potevano essere tre immigrati stabiliti nel quartiere chissà da quanto, dal ’56, forse, e la loro conversazione poteva riferirsi a chissà cosa. Forse erano semplicemente ladri di cani (se esiste una tale categoria criminale). Ma quel che è certo è che quella notte non mi avventurai ad uscire in strada prima dell’alba, che per fortuna – eravamo in giugno e nessuno parlava ancora di ora legale – non tardò molto.
Allora capitava molto più spesso di oggi di far tardi, anche in un locale modesto come quello.
Che devo dire? Da allora, quel quartiere, che m’era tanto piaciuto, per me non fu più lo stesso. Poco per volta, smisi di frequentarlo. Gli amici mi presero in giro per anni, quando presi l’abitudine di portare una piccola croce d’argento appuntata al bavero della giacca, nonostante le mie tendenze ideologiche. Poi ci si abituarono, come a tante altre bizzarie.

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giovedì 29 ottobre 2015

Carlo Oliva.......2 di 4...

All'angolo della via

  Di notte la zona era praticamente deserta. Di ritrovi pubblici, naturalmente, nemmeno si parlava, oltre a qualche bar-latteria, l'unico di cui avessi notizia era appunto in via Frapolli (o, chissà, nei dintorni immediati): era quello che inseguito si sarebbe chiamato un locale, ma allora era soltanto qualcosa d'indistinto tra un bar e un'osteria. Sul tardi, vi ci si faceva musica: un gruppo di clienti fissi cantava i motivi di un repertorio composito, accompagnandosi con le chitarre, un contrabbasso a una corda fatto in casa e due cucchiai per battere il ritmo. Non era un posto famoso come altri in città, ma era sempre piacevole sedersi da un canto e ascoltare quei buontemponi che si cimentavano con gli acuti della  Paloma, azzardando la versione corale di una romanza del Tosti e, infine, mettevano a confronto le strane caratteristiche di una ragazza di Villafranca e di una di Bordighera.
  Fu appunto in via Frapolli, una sera di quella prima estate, che li vidi per la prima volta. avevo accompagnato a casa una delle mie amiche (era piccola: non sempre otteneva dai familiari la libera uscita oltre le dieci) e andavo verso la fermata della filovia. Faceva abbastanza caldo: dalle molte finestre aperte rimbombavano i suoni di un programma televisivo. Allora, naturalmente, non c'erano reti private e quasi tutti seguivano il primo programma. Le facciate delle case erano una specie di parete sonora, dalla quale fluivano le voci e le note, che si mescolavano in un gioco continuo di echi e ripetizioni. Quella sera davano un varietà musicale, tra i cui ospiti, a quanto pareva, c'era una cantante lirica: la si sentiva per ogni dove cantare l'habanera della Carmen. Il ritmo cadenzato della celebre aria ( l'Amour, l'Amour...), con quei giambi ripetuti in cui l'anapesto si inserisce atteso e insieme improvviso, dava una strana sensazione d'irrealtà. Era come se alla vita di tutti i giorni fosse stata aggiunta bizzarramente una colonna sonora.
  Avevo appena svoltato l'angolo della via ( l'Amour est un ) quando sentii alle mie spalle ( fils de Boheme ) un grido strozzato. Mi volsi ( il n'a jamais connu des lois )  e mi affrettai sui miei passi. In fondo, praticamente in piazza Adigrat, alcuni passanti (si tu ne m'aimes ) erano chini su una donna mezzo sdraiata per terra, evidentemente in preda a una forte emozione. Non c'era bisogno ( pas, je t'aime )  che mi unissi a loro e ripresi la via verso il viale. Ma, forse perchè da quelle parti ( si je t'aime ) avevo preso il vezzo di guardarmi in giro con una certa cautela, colsi con la coda dell'occhio ( oh, si, si je t'aime) un movimento all'angolo di via Caronti.
  Erano in tre e si muovevano a passo normale, anche se si capiva che poco prima dovevano essersi affrettati. Non troppo alti, tarchiati, vestiti di nero (pantaloni attillati, maglioncini da marinaio a collo alto, un lungo e inconguo impermeabile di nailon ) in contrasto con il pronunciato pallore del loro volto. Si fermarono presso un portone e uno fece il gesto di estrarre la chiave. Prends garde à toi.
  Beh, confesso che non capii assolutamente chi fossero. Non me ne preoccupai nemmeno. I giornali parlavano da un po' di un maniaco attivo in zona (Pompeo non era stato ancora arrestato ), ed era logico supporre che la donna che aveva gridato fosse una sua vittima. La tenuta dei tre era un po' lugubre, ma non più di tanto e nessuno di loro rassomigliava minimamente a Christopher Lee. Con il senno di poi, certo, è facile capire che non c'era motivo perchè dovessero somigliargli. Ma i miti iconici, come tutti gli altri, son duri a morire.
  A guardare con attenzione, forse, si sarebbe potuto ravvisare nei loro tratti una qualche affinità con quelli di Bela Lugosi, per lo meno un'aristocratica scintilla di albagia magiara, ma, allora, chi fosse Bela Lugosi proprio non lo sapevo. Ci pascevamo tutti, più o meno, dei remake della Hammer, ma non conoscevamo i classici Universal degli anni '30: la televisione non li trasmetteva di certo e i cineclub, cui pure ero assiduo, erano soprattutto prodighi di film cecoslovacchi sulla figura di tormentati dirigenti di fabbrica, che pur di raggiungere gli obiettivi del piano quinquennale proponevano agli operai un sistema di incentivi materiali e finivano sotto processo per aver negato, sia pure in buona fede. l'etica socialista del lavoro. Io ero stato, in vacanza, un paio di volte in Ungheria e una volta in Transilvania: mi ero trovato bene e, in seguito, m'ero persino azzardato a seguire il lettorato d'ungherese all'Università, ma allora non mi passò affatto per la mente di collegare a quei paesi i tre cupi individui.

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mercoledì 28 ottobre 2015

Carlo Oliva........1 di 4...

All'angolo della via

  La vicenda dei presunti vampiri di viale Argonne è stata riferita a suo tempo dalla stampa cittadina, ma in modo,diciamo pure, insoddisfacente. Era inevitabile: verso la metà degli anni’60, la cronaca era considerata un genere giornalistico in cui una certa routine era, non che ammessa, desiderata, specie nei mesi estivi. La storia di uno o più sconosciuti che, all’imbrunire, avevano aggredito, nel corso di poche settimane,due o tre signore che rincasavano sole, cercando goffamente i morderle sul collo, per dileguarsi alla loro decisa reazione, era una tipica storia da cronaca estiva, nel senso che non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere pubblicata in un ‘altra stagione. Come tale, infatti, era stata trattata: un po’ di blanda ironia, un minimo di colore, la menzione del successo, di pochi anni prima, dei film con Christopher Lee e il suggerimento che protagonisti degli strani episodi fossero degli psicopatici esaltati dalla visione dei medesimi. Di fatto, entro il mese la pubblica sicurezza mise le mani, dopo le opportune indagini, su un balordo locale, tale Pompeo (la stampa non riferì il cognome), che al titolo di psicopatico aveva ampiamente diritto, e gli contestò tutte le aggressioni. Lui ammise di frequentare, a volte, il vicino cinema Susa, e non negò di apprezzare il genere horror, ma respinse con ostinazione ogni addebito vampiresco. Non gli cedettero, e lo spedirono senza indugi al neurodeliri. Ne uscì poche mesi dopo. Poi, a quanto ne so, di lui si persero le tracce. Vuole il caso che allora, pur abitando in tutt’altro quartiere, frequentasse con una certa regolarità la zona di viale  Argonne. Avevo, di fatto, una fidanzata in via Amadeo; anzi, per una concatenazione d’eventi estranea (o quasi) alla mia volontà, ne avevo un’altra in via Sismondi, e mi capitava spesso di accompagnare l’una o l’altra a passeggio sotto i platani del viale, in un paesaggio urbano piacevolissimo in quelle tarde sere di giugno. Una volta mentre ero con l’una, mi capitò persino di imbattermi nell’altra, che si intratteneva su una panchina con un amico comune, il che, a rigore, non avrebbe dovuto fare (perlomeno, avrebbe preferito farlo senza che lo si risapesse, perché l’amico era legato sentimentalmente a una cugina di lei, con cui entrambe le ragazze erano in una certa intimità) e la situazione s’era rivelata imbarazzantissima. Con l’eccezione della mia accompagnatrice, tutti noi altri tre eravamo stati sorpresi in qualche modo in fallo, e anche lei era turbata, pensando alla cugina dell’amica e chiedendosi se fosse o meno il caso di metterla al corrente dell’infedeltà del partner. Lo avrebbe fatto, in definitiva, provocando qualche passeggera burrasca sentimentale.


  Erano sciocchezze, ma l’età e la cultura corrente ci rendevano sensibili a questi problemi. I cantanti di successo ne trattavano in versi e in musica e anche i romanzieri importanti, pur elaborando situazioni più osé della nostra, vi erano affezionati. L’episodio, in pratica, non ebbe seguito, ma valse a rendermi molto cauto e attento ogni volta che percorrevo, solo o accompagnato, quel tratto di strada.


  Ora, come tutti sanno, per raggiungere viale Argonne da via Sismondi, il miglior partito da prendere è quello di imboccare via Frapolli e piegare per via Sighele, a meno che da via Frapolli non si preferisca sboccare direttamente in largo Porto di classe, da dove, per Piazza Fusina e via Aselli, si può proseguire comodo mante per via Amadeo. Erano, allora, vie tranquille e piacevoli, fiancheggiate da edifici dignitosi e vecchiotti, con pochissimo traffico e una certa polverosa tranquillità: a me piacevano moltissimo. L’ora migliore, naturalmente, era quella del tramonto estivo, quando l’occhio si perdeva da un lato lungo la prospettiva, vagamente parigina, degli alberi che correvano verso piazzale Susa (ma alle ragazze dicevo che ricordava un po’ l’ensache di Barcellona: faceva più effetto) e, dall’altro, si fermava con soddisfazione sulla mole torreggiante della chiesa dei santi Nereo e Achilleo. I pregi di quell’edificio neo-romanico non sono un gran che, ma a osservarlo nel giusto stato d’animo faceva il suo effetto, specie se attorno al torrione circolare si librava il canonico volo di rondini.

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venerdì 16 ottobre 2015

E. Sottsass......Guerra....A. Gormley



In quella guerra stupida dove sono stato, non ho trovato niente di divertente, niente di eroico, niente di istruttivo. Era una totale perdita di tempo, soprattutto per la Patria della gente.
Il mio corpo giovane, le mie gambe, i miei piedi, il mio sesso pieno di sangue, la mia voce, i miei capelli sel-
vaggi, il mio cervello furioso e curioso erano usati per produrre coglionate, per riempire di orgoglio stronzo
qualcuno al quale normalmente non avrei concesso di pulirmi le scarpe.
Durante questi anni inutili e perduti andavo cercando tra la gente qualcuno che mi consolasse: ragazze, amiche, amanti o nemiche, profughi, ragazzi in fuga, traditori silenziosi, prigionieri, compagni di qualche ora,
altri nemici, anche guerrieri senza colpa.
I paesaggi, le montagne, i fiumi, i boschi, i prati, erano incantati; le albe, i tramonti, le notti erano di una totale
purezza cosmica; anche i villaggi, anche le chiese, anche i cimiteri stavano affondati nei loro interminabili silenzi. Noi chiedevamo ben poco. Chiedevamo che finisse il crepitio metafisico delle mitragliatrici, chiedeva-
mo che l'eco dei cannoni non scendesse giù dal cielo, che le case non fossero distrutte, che tutte le finestre
continuassero a splendere con i loro vetri.
Ma c'era ben poco da chiedere, nessuno avrebbe mai ascoltato.
Noi che dovevamo fare la guerra, chiedevamo soltanto di poter stare seduti a guardare montagne, fiumi, boschi, ragazze, cimiteri, senza dover sempre avere compassione per qualcuno, senza dover sempre aver
vergogna di noi stessi.


 Anthony Gormley

martedì 6 ottobre 2015

Haiku d'autunno......

.....................Haiku........d'autunno.......................


Yosa Buson 1716 1783

Fa perdere le tracce:
così viaggia un Maestro!
Tardo autunno.



Haik......u...........d'....au........t......u.n....n..........o...


Kobayashi Issa 1763 1827

Notte d’autunno.
Il viaggiatore
Lavora d’ago.


.....H........a...i....ku.......d'.....a....u.t......unno.........


Ogiwara Seisensui 1884 1976

Le carpe si radunano.
In silenzio, l’autunno avanza
in ogni direzione.


...H...a.i..........k..u.....d'..aut.....un........n......o.......

Sugita Hisajo 1890 1946

Profumo di crisantemi.
Arriva una piccola folla.
E’ un giorno felice.