giovedì 26 gennaio 2017

Jorge Semprun.........Giornata della memoria...





Il giorno prima, verso mezzogiorno, una sirena d'allarme era risonata. Feindalarm, Feindalarm ! gridava nel circuito degli altoparlanti una voce rauca,carica di panico.Aspettavamo quel segnale da qualche giorno, da quando la vita nel campo si era paralizzata con l'avvicinarsi delle avanguardie blindate del generale Patton. Niente più partenze, all'alba, verso i kommandos esterni. Ultimo appello generale dei deportati il 3 aprile. Niente più lavoro tranne che nei servizi interni di manutenzione. Un'attesa sorda regnava a Buchenwald. Il comando delle SS aveva rinforzato la sorveglianza, raddoppiato le sentinelle nelle torrette di guardia.Le pattuglie erano sempre più frequenti sul cammino di ronda, oltre la cinta di filo spinato elettrificato.Una settimana passata così,  nell'attesa. Col rumore della battaglia che avanzava. A Berlino venne presa la decisione di evacuare il campo, ma l'ordine fu eseguito solo in parte. Il comitato internazionale clandestino organizzò subito una resistenza passiva. I deportati non si presentarono agli appelli destinati a raggrupparli per la partenza. Alcuni reparti delle SS furono quindi lasciati verso le linee di confine del campo, armati fino ai denti ma anche impauriti dall'immensità di Buchenwald. Dalla massa decisa e incontrollabile di decine di migliaia di uomini ancora in forze. Talvolta le SS sparavano delle raffiche alla cieca, per cercare di costringere i deportati a radunarsi sul piazzale dell'appello. Ma come si fa a terrorizzare una folla determinata dalla disperazione, che sta al di là della soglia della morte? Dei cinquantamila detenuti di Buchenwald le SS riuscirono ad evacuarne appena la metà: i più deboli, i più vecchi, i meno organizzati. Oppure quelli,  come i polacchi, che avevano preferito collettivamente l'avventura sulle strade dell'evacuazione all'attesa di una battaglia incerta. Di un probabile massacro dell'ultima ora. Sapevamo che alcune squadre di SS armate di lanciafiamme erano giunte a Buchenwald. L'11 aprile, poco prima di mezzogiorno la sirena d'allarme era risonata, come un muggito breve ma ripetuto e lacerante. Feindalarm, Feindalarm! Il nemico era alle porte: la libertà. I gruppi di combattimento si sono allora radunati nei luoghi preventivamente fissati. Alle tre, il comitato militare clandestino ha dato l'ordine di passare all'azione. Alcuni compagni sono venuti fuori improvvisamente, carichi di armi. Fucili automatici, mitragliette, granate, parabellum, bazooka, visto che non c'è un termine francese per quest'arma anticarro. Panzerfaust, in tedesco. Tutte armi rubate nelle caserme delle SS, durante i disordini provocati soprattutto dal bombardamento aereo dell'agosto 1944. Oppure abbandonate nei treni dalle sentinelle che accompagnarono gli ebrei sopravvissuti di Auschwitz, in pieno inverno. O ancora uscite come pezzi di ricambio dalle fabbriche Gustloff e poi montate nelle officine clandestine del campo. Tutte armi pazientemente messe insieme per lunghi anni in vista dell'improbabile giorno: oggi: Il gruppo d'assalto spagnolo era radunato in un'ala del pianterreno del blocco 40, il mio. Nel viale fra questo e il blocco 34, quello dei francesi, apparve Palazon, seguito dai compagni che portavano le armi di corsa. " Grupos, a formar!" Urlava Palazon, responsabile militare degli spagnoli. Eravamo saltati giù dalle finestre aperte, urlando a nostra volta. Ognuno sapeva quale arma gli era destinata, quale strada doveva prendere e quale obiettivo doveva raggiungere. Confusi fra la folla allucinata, affamata e disorientata della domenica pomeriggio, avevamo già privato, senza armi, quei gesti, già percorso quell'itinerario: l'impulso era diventato riflesso. Alle tre e mezza, la torre di controllo e le torrette di guardia erano state occupate. Il comunista tedesco Hans Eiden, uno dei decani di Buchenwald, poteva rivolgersi ai detenuti con gli altoparlanti del campo. Più tardi marciavamo armati su Weimar. Nella notte, i mezzi blindati di Patton ci raccoglievano per strada. I loro equipaggi scoprivano, dapprima stupiti ma, in seguito ai nostri racconti, esultanti, quelle bande armate, quelli strani soldati vestiti di stracci. Ci scambiavamo parole di riconoscenza in tutte le lingue della vecchia Europa, sulla collina dell'Ettersberg. Nessuno di noi avrebbe osato mai fare un simile sogno. Nessuno che fosse ancora abbastanza vivo per sognare, per arrischiarsi a immaginare un avvenire. Sotto la neve degli appelli, allineati a migliaia davanti alle corde per assistere all'impiccagione di un compagno, nessuno di noi avrebbe osato mai fare fino in fondo questo sogno: una notte, armati, marciare su Weimar. Sopravvivere semplicemente, anche nudi, sviliti, svigoriti, già questo sarebbe stato un sogno un pò folle. Nessuno, è vero, avrebbe osato fare un simile sogno. Eppure d'improvviso era come un sogno: era vero.


Jorge Semprun  1923 - 2011

internato a Buchenwald dal 44, per l'appartenenza nella Resistenza francese, fino alla liberazione del campo 11 aprile 1945.




Maus - Art Spiegelman

Nessun commento:

Posta un commento