lunedì 20 agosto 2018

Margaret Atwood...


Nota al rapporto di Amnesty sulla tortura                                 Una settimana in Italia - Lunedì
     

La camera di tortura non assomiglia a nulla
che ci si possa aspettare.
Niente scena d'opera o catene sexy e
roba di pelle come nelle riviste porno
in carta patinata, niente segrete orrende
anni trenta veli di ragnatele; né
nudi spazi cromati
in una fredda luce del futuro
che crediamo di temere.
Assomiglia più a una delle più fruste
stazioni delle Ferrovia Britanniche, con pareti
verdi scrostate e tè versato,
giornali accartocciati, e un uomo chino
che pulisce sempre il piancito.

Ma puzza; come un ospedale,
di antisettici e di malattia
e certi giorni, di sangue
che ha dovunque lo stesso odore,
qui o dal macellaio.

L'uomo che lavora qui
sta perdendo l'odorato.
E' contento del posto che ha, perché
ce n'è pochi.

Non è uno dei torturatori, è solo
l'uomo che pulisce il piancito:
ogni mattina lo stesso vomito,
gli stessi denti sparsi, la stessa
piscia e merda liquida, lo stesso panico.

Alcuni hanno coraggio, altri
no; coloro che fanno quello che crede
il lavoro vero, e che sono
annoiati, perché i funzionari
inferiori sono sempre annoiati, dicono loro
che non vale la pena, chi verrà mai
a sapere che sono coraggiosi, meglio
parlare subito
e farla finita.

Alcuni non hanno niente da dire, e anche questo
non importa. I loro corpi
contorti, con le dita
dilaniate e la lingua tormentata, sono gettati
al di là delle lance della cancellata
sul prato del Console, insieme
ai corpi dei bambini
bruciati per far parlare le madri.

L'uomo che pulisce il piancito
è contento di non essere lui.
Lo sarà se mai dirà
quello che ha visto. Lavora molte ore,
si sottopone alle perquisizioni, mangia
la colazione che si porta da casa, che sa
di sangue vecchio e segatura
con cui pulisce il piancito. La moglie
è contente che le porti i soldi
per mangiare, le disse
di non fare domande.

Mentre spazza, cerca di
non sentire; cerca
di trasformarsi in un muro,
un muro spesso, in muro
morbido e senza eco. Non pensa
ad altro che alla via del ritorno
alla torrida baracca che ha per casa,
alla porta
che si apre e ai figlioli
con la pelle intatta e gli occhi limpidi
che gli corrono incontro.

Ha paura di
ciò che potrebbe fare
se glielo dicessero,
ha paura della porta,

ha paura, non della
porta, ma della porta che
si apre; qualche volta, non importa
quanto si sforzi,
i suoi figlioli non ci sono.


Poesie - Bulzoni Editore - 1978 - 





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