mercoledì 6 marzo 2019

Philip K. Dick... 1 di 13


Philip K. Dick


Se questo mondo
vi sembra spietato,
dovreste vedere
cosa sono gli altri.

Introduzione di Stefano Benni

Traduzione dall'inglese di
Alberto Cristofori


Introduzione

Quando anni fa proposi a due editori di sottrarre qualche libro di Dick alla pur meritoria
giurisdizione delle pubblicazioni di fantascienza, ebbi identiche reazioni. Risposero che era
un autore molto interessante, ma cosa era? Una forma di vita letteraria sconosciuta sul
nostro pianeta? Uno scrittore di fantascienza per casi clinici? Un mistico medioevale cali-
forniano? La sua unicità non venne riconosciuta come un pregio, ma come un ostacolo a
future classificazioni, comprensione e fortune editoriali. Ora Dick sta moltiplicando i suoi
lettori italiani; ma mi sembra che abbia dovuto comunque pagare un doppio prezzo per la
sua originalità. All'inizio ha pagato la misteriosa facilità con cui alcuni scrittori "fantastici"
riescono a parlare dei loro tempi con maggior passione e precisione rispetto i loro colleghi
"realisti". Questo per la cronica ignoranza e il sospetto che i "grandi" editori e critici
italiani mostrano verso libri ricchi di invenzione e ironia, perché queste doti abitano le 
culture critiche e curiose, non la nostra, pigra e terrorizzata dal nuovo.
Philip Dick, grazie alla sua fantasia cronistica, fu l'anticipatore di tutti i temi del moderno
incubo americano, e non solo americano: il mutamento cellulare del rapporto 
uomo-macchina e la nascita di sentimenti reciproci, la proliferazione di universi paralleli
nati dalla tecnologia e dalle nuove creature medianiche, la mutazione e riproducibilità
di ogni organo, di ogni corpo e forse di ogni esperienza, lo spaventoso e affascinante
aprirsi di corridoi tra realtà e irrealtà. Troppe cose da studiare, per i mostri giurati a vita.
Meglio importare i più rassicuranti problemi di ricchi rampolli un po' strippati di coca
e polpettoni fanta-lussuoso-politici.
Quando Dick è arrivato, con la sua "altra" America, ha dovuto subire una piccola
lobotomia. Il tema delle mille realtà compresenti, che Dick gioca profondamente tra
angoscia e ricerca di verità, è stato talvolta presentato come una sua abilità nel fondere
linguaggi e immagini esteticamente eccitanti e compatibili, come vorrebbe la nuova 
etica televisiva del frammento, il "siamo disorientati e belli". Lo scandalo di Dick,
come scrivono De Turris e Fusco nell'introduzione all'Uomo variabile, consiste proprio
nella confusione, nella simpatia tra uomo e androide, tra sano e drogato, tra vivo e morto.
Da una parte lo spettatore smaliziato, animale urbano che sa sopravvivere nello sfacelo
e goderne sottilmente turbato le scenografie. Dall'altra parte androidi belli, drogati-clown,
morti da effetti speciali. Dick arriva al grande pubblico e al sospetto interesse dei
"grandi" editori attraverso Blade Runner, film figurativamente splendido e ben
sostenuto dall'idea centrale del replicante, ma assai diverso dal libro. Gli androidi di
Dick sono carogne, non angeli muscolosi e terribili che citano il Bateau Ivre, Rachel non
ha lo splendore da aerografo giapponese di Sean Young, è un androide infelice che
vuole sedurre per vincere, ed esistere. E alla fine Deckard non fuggirà con lei, nel
finale imposto dai produttori, verso un'improbabile Svizzera, ma compagni del suo
futuro saranno un rospo sintetico e la moglie ritrovata.
E' bene dunque che si legga di più Dick ma è bene rispettare la sua unicità. Che non è
quella di un giocoliere tossico dei linguaggi della fantascienza, non il dubbio di
scegliere tra un falso e vero Schwarzenegger, non l'apocalisse con le luci giuste.
E' una scena oscura, il percorso angosciato, segnato da molte cadute, di uno scrittore
che entrò nel futuro americano dal buco temporale degli anni '60, e ne descrisse tutta
la violenza, dando alcune ingenue e geniali istruzioni di fuga. Non inventò figurine
per un'estetica del simulacro, ma un modo unico di usare la fantasia su uno scenario
nuovo, quello della tecnologia e della scienza, rilanciando la sfida della scrittura.
Possiamo amare Blade Runner, ma Dick è qualcosa di più, e non gli si può togliere
questo qualcosa. Anche se ci costerà un piccolo sforzo supplementare di attenzione
verso la sua opera.
      
                                                                                                Stefano Benni

(apparso su "Linea d'ombra" del gennaio 1992)



Nota sul testo e sull'Autore

Il testo di Dick che segue è un compendio della sua ultima filosofia della vita e della
letteratura, ai margini del teorico-quasi teologico e del fantastico, dell'esperienza
psichica tra "salute" e "malattia". Un documento, oltre che della tensione creativa
di Dick, di un attraversamento del tutto insolito della letteratura.
Se questo mondo vi sembra spietato... è noto anche come The Metz Speech, poiché è
stato letto dall'autore - in forma ridotta per ragioni di tempo - al secondo festival
internazionale di fantascienza di Metz il 24 settembre 1977. L'attore John Dowie
ne ha fatto nel 1990 un'interpretazione teatrale. La possibilità di pubblicarlo nella
versione integrale ci è stata offerta da Paul Williams, editor della "Philip K. Dick
Society Newsletter", dove è apparso nell'agosto 1977. Ringraziamo The Estate of
Philip K. Dick e Paul Williams per la loro cortesia. 


Philip K. Dick (Chicago 1928-Fullerton, California 1982) è uno dei grandi scrittori
della fantascienza, autore di opere di coraggiosa visionarietà e acre pessimismo sulla
alienata natura umana di oggi e di domani: Il mondo che Jones creò (1956), La
svastica sul sole (1963), I giocatori di Titano (1963), I simulacri (1964), Le tre stigmate
di Palmer Eldritch (1964), Il cacciatore di androidi (1968), Ubik, mio signore (1969) e 
tanti racconti. Ha cultori innumerevoli e meritati, anche se non tra gli intellettuali
di professione. 


                                                     1 - continua        

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